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Uno studio lo dimostra: il coronavirus uccide il doppio dove l’aria è più inquinata

La differenza sta fra l'esposizione alle polveri sottili

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Più è alta e costante nel tempo l’esposizione alle polveri, più è alta la probabilità che il sistema respiratorio sia predisposto ad una malattia più grave. D’altra parte, è noto che l'inquinamento atmosferico, è uno dei fattori di rischio più importanti per la salute e causa, secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, solo in Italia 219 morti al giorno.

Oggi però è stato aggiunto un altro importante tassello nel complesso puzzle che ricostruisce la relazione tra i livelli di inquinamento atmosferico e l’epidemia di COVID-19 (malattia del Coronavirus causata dalla SARS-CoV-2). A metterla in evidenza, è uno studio intitolato “Comprendere l’ eterogeneità degli esiti avversi del Covid 19: il ruolo della scarsa qualità dell’ aria e le decisioni del lockdown”, condotto da Leonardo Becchetti, docente dell’Università di Roma Tor Vergata, Gianluigi Conzo, anche lui di Tor Vergata, Pierluigi Conzo dell’Università di Torino e Francesco Salustri, del Centro di ricerca sull’economia della salute dell’Università di Oxford.

“Si tratta dello studio italiano più completo mai realizzato sulla relazione tra inquinamento e COVID-19. Abbiamo analizzato i dati di tutti i comuni e di tutte le province, sia in termini di decessi che di contagi giornalieri”, spiega il professor Becchetti a La Stampa. Nello studio le variabili significative sulle cause di contagio e i decessi per Covid-19, sono rappresentate dal combinato disposto di tre fattori: le misure di lockdown, il livello dell’inquinamento locale – soprattutto polveri sottili ma anche biossido di azoto - e le tipologie delle strutture produttive locali, in particolare le attività non digitalizzabili, che quindi nel periodo più acuto della crisi epidemica hanno avuto maggiori resistenze a chiudere. “Le nostre stime indicano che la differenza tra province più esposte a polveri sottili (in Lombardia) e meno esposte (in Sardegna) è di circa 1.200 casi e 600 morti in un mese, un dato che implicherebbe il raddoppio della mortalità”.

In sostanza, secondo la ricerca, il coronavirus colpisce di più dove l’aria è più inquinata, anche se gli autori tengono a precisare chiaramente che non si può stabilire un nesso di causalità; si parla di rilevanza statistica che comunque suggerisce una forte correlazione tra inquinamento e contagi/mortalità. “Esistono centinaia di studi medico- scientifici che in passato hanno sottolineato come le polveri riducono l’efficienza dei polmoni aumentando i rischi e peggiorando gli esiti delle malattie polmonari, cardiovascolari e dei tumori. Il COVID-19 è una malattia respiratoria e polmonare e il nostro studio trova un’associazione statistica molto significativa tra inquinamento, contagi e gravità degli esiti del COVID-19” commenta Becchetti. Queste evidenze portano a ragionare sulle politiche economiche e su come dovrebbero cambiare, alla luce di una pandemia che sta mettendo in ginocchio i sistemi industriali di tutto il mondo.

E adesso che le misure di lockdown si avviano a conclusione cosa possiamo fare? «Non si tratta di optare per la decrescita, ma per una ripresa resiliente e sostenibile, intervenendo su settori come l’economia circolare, la mobilità sostenibile, l’efficientamento energetico, la digitalizzazione e la dematerializzazione”. Con la decarbonizzazione dell’industria, del sistema energetico, della mobilità e dell’edilizia potremmo incidere sul 90% dell’inquinamento. «Per questo bisogna sostenere gli investimenti verdi, con una strategia che punti contemporaneamente sulla creazione di valore economico e sul lavoro, ma anche sulla salute e sull’ambiente», conclude Becchetti.

Notizia e foto tratte da La Stampa
© Riproduzione riservata
21/05/2020 08:39:00


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