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Pensioni, col governo Draghi torna la legge Fornero

Il sindacato: “Chiediamo l'uscita flessibile dai 62 anni

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Altro che maggior flessibilità in uscita per i lavoratori che aspirano alla pensione, il Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) prefigura in pratica il ritorno alla tanto contestata legge Fornero. “In tema di pensioni – si legge nel testo - la fase transitoria di applicazione della cosiddetta Quota 100 terminerà a fine 2021 e sarà sostituita da misure mirate a categorie con mansioni logoranti”. Niente braccia aperte, insomma, alla flessibilità in uscita come chiedono i sindacati e auspicano gli aspiranti pensionati.

L'attesa di un tavolo di confronto

Eppure sarebbe indispensabile, su un tema tanto importante per le vite di migliaia di persone, attivare un tavolo di discussione, come propongono i rappresentanti dei lavoratori. “La scadenza di Quota 100 si avvicina e bisogna prendere una decisione - sostiene il segretario nazionale della Uil Domenico Proietti che da tempo si è fatto interprete di tale necessità, aggiungendo che del resto "il peso della spesa previdenziale sul Pil è sbagliato: non è il 16%, ma il 12% perché dentro c’è pure l’assistenza“.

I contenuti del Pnrr tuttavia sembrano prefigurare una decisione unilaterale destinata a scatenare inevitabili proteste.

E' vero infatti che Quota 100 finiva con il beneficiare, come in una sorta di lotteria, solo alcuni lavoratori con 62 anni di età e 38 anni di contributi, ma una riforma andrebbe studiata, se non altro per evitare lo scalone di 5 anni destinato a concretizzarsi dal 1 gennaio 2022. Da quando cioè per andare in pensione ridiventerà necessario in prevalenza l’aver compiuto i 67 anni anagrafici o maturato i 42 anni e 10 mesi di contributi (un anno in meno per le donne).

La proposta sindacale

Il problema insomma è serio, foriero com'è di pesanti conseguenze sulle spalle dei lavoratori. Per questo i vertici sindacali non sono entusiasti dell’orientamento del governo. Proprio qualche giorno fa il leader della Cgil Maurizio Landini ha ribadito la proposta di Cgil, Cisl e Uil di stabilire a 62 anni l'età minima per l’uscita flessibile dall’attività lavorativa, annunciando di aver ri-chiesto ufficialmente un tavolo al presidente del Consiglio e al ministro Andrea Orlando.

L’esecutivo invece pare proseguire nella propria direzione, senza consultazione preventiva dei sindacati, fornendo l'impressione di essere tornati davvero - sotto tale aspetto - ai tempi del governo Monti.

Le linee del governo

Ma quali sarebbero, in definitiva, le intenzioni dell’esecutivo sulla tematica pensioni?

La regola pregnante ridiventerebbe quella disegnata a suo tempo dalla legge Fornero: in pensione a 67 anni e buonanotte ai suonatori. Si tratterebbe tutt'al più di consentire un'uscita anticipata ai lavoratori addetti ad attività usuranti.

Ci sarebbe spazio poi per l’Ape sociale, da mantenere a disposizione di talune categorie in difficoltà e con età superiore ai 63 anni. A fianco di questa misura resterebbe Opzione donna, ovvero la possibilità per le lavoratrici di accedere al pensionamento con 58 anni di età e 35 anni di contributi, ma col calcolo dell’assegno esclusivamente contributivo. Possibilità di flessibilità e uscita anticipata anche per i cosiddetti lavoratori fragili, quelli afflitti da particolari patologie.

Una possibilità potrebbe esserci per l'approvazione di Quota 41. Vale a dire il pensionamento con 41 anni di contributi a prescindere dall’età.

Si parla anche di Quota 102, ovvero della possibilità di pensionamento con 64 anni di età e 38 di contributi, ma si tratterebbe, in questo caso, di un mero aggravamento dei requisiti di Quota 100: stesse rigidità e limitazioni ma con il requisito di due anni in più.

Il contratto di espansione

Uno degli obiettivi primari del governo potrebbe diventare invece il rafforzamento dei contratti di espansione, per far fronte alle esigenze di ristrutturazione che le aziende manifesteranno sicuramente alla scadenza del blocco dei licenziamenti. Dell’argomento abbiamo già parlato ampiamente in un recente approfondimento. Questo strumento consente di mandare in pensione con 5 anni di anticipo, rispetto ai 67 anni, i lavoratori più attempati con l’impegno, sancito da un apposito contratto, di assumere dei giovani al loro posto. La soluzione più utile, a detta di molti, in un momento in cui le conseguenze del Covid minacciano di far esplodere molte situazioni aziendali. Lo scivolo per i più anziani allora potrebbe rivelarsi l’unico modo per impedire che migliaia di lavoratori restino senza lavoro e sostentamento.

Il problema della copertura dei costi

Una delle questioni che vengono sollevate sulla richiesta di una maggiore flessibilità sui pensionamenti è quella della copertura economica, come ribadito di recente sui media anche da Elsa Fornero. “L’uscita flessibile è un’ottima cosa – afferma l’ex ministra del Lavoro - ma bisogna vedere chi paga”.

I sindacati non ci stanno

A proposito di compatibilità economica, "in verità, non ci sono problemi –afferma però Domenico Proietti, segretario confederale Uil, in una nostra recente intervista -  In Italia per le pensioni si spende come nella media dei Paesi europei, come dichiarato di recente dal presidente dell’Inps e ribadito da importanti istituti accademici". Perché dovrebbe essere impossibile allora fare ciò che fanno gli altri? "Esistono tutte le condizioni per riallineare il sistema previdenziale italiano a quello vigente in Europa, dove si va in pensione mediamente a 63 anni - dice Proietti - Non si capisce perché in Italia dobbiamo andare a 67”. Spesa più alta come sostiene la Fornero? “In Europa per le pensioni si spende intorno al 12% del Pil – fa notare il leader sindacale - In Italia avviene la stessa cosa (basterebbe togliere come fanno tutti l’assistenza, che va finanziata con la fiscalità generale e non con i versamenti previdenziali, ndr). La nostra proposta ha allora una evidente compatibilità economica. E in questa fase di ricostruzione del Paese, tale riforma servirebbe anche ad aiutare le imprese nei processi di ristrutturazione. Con una flessibilità più diffusa molte imprese necessitanti di ristrutturazione potrebbero utilizzare anche tale strumento, oltre agli ammortizzatori sociali. Anche per questo chiediamo al governo di aprire subito un tavolo”.

E' fondamentale uscire dalla rigidità, perché "senza l'introduzione di un sistema flessibile un 45enne di oggi sarà costretto a lasciare il lavoro a 70 anni - sostiene il segretario confederale Cgil Roberto Ghiselli in una intervista a pensionipertutti.it - e privare i lavoratori della possibilità di godersi la fase finale della esistenza, dopo aver versato congrui contributi, è iniquo". Non è neppure giusto porre la solita obiezione della insostenibilità dei costi, "infatti - spiega Ghiselli - in questi anni è cambiato completamente il paradigma. Si continua a ragionare come se fossimo nel sistema retributivo mentre il fatto che ormai è prevalente la componente contributiva rende quasi ininfluente l’età di pensione perché se si anticipa il pensionamento l’importo dell'assegno sarà più bassose si posticipa crescerà”.

Anche per questo la flessibilità è un meccanismo utilizzato in tanti altri Paesi europei. Semmai l’anomalia si è verificata secondo il sindacato nel 2012, con il governo Monti. Quando “la legge Fornero – afferma Proietti - ha operato una gigantesca operazione di cassaper motivi di bilancio, sulle spalle dei lavoratori e dei pensionati”. E questa scelta non si deve ripetere. Anche perchè, se dietro le scelte c'è la vita degli italiani, l'Italia del domani non può essere quella che manda i lavoratori in pensione a 70 anni.

Notizia e Foto tratte da Tiscali
© Riproduzione riservata
27/04/2021 20:27:28


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