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Giorgio Giannelli, il signor Arrow: la sua firma negli scarichi da competizione

Da affermato campione di motocross, ad imprenditore di successo

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È un esempio da seguire. Uno di quelli che si è fatto da sé. Giorgio Giannelli è molto più di un semplice imprenditore: il signor Arrow, come potrebbe essere chiamato, presidente del gruppo; mette la firma negli scarichi da competizione che regalano successi nelle gare di tutto il mondo. Moto in larga parte, o comunque il settore delle due ruote a motori, ma da una decina di anni a questa parte anche per le auto grazie alla collaborazione con Pagani. Da affermato campione di motocross, ad imprenditore di successo. Arrow da una parte e Giannelli dall’altra, due marchi che nel mondo sono sinonimo di originalità e prestazioni oltre che Made in Italy. Tutto nasce a San Giustino, quel territorio da sempre definito ‘cuscinetto’ tra i centri più grandi di Sansepolcro e Città di Castello ma che esprime un alto livello imprenditoriale. C’era già Giannelli ma nel 1985, quando Arrow è nata, contava appena 6 dipendenti e fatturava 400 milioni di vecchie Lire; oggi sono 150, oltre ad una 50ina di artigiani esterni, ed il bilancio tocca i 30 milioni di euro. Macchine e moto, con uscite sempre in solitaria in sella alla Bmw, tra le sue passioni e il mare con la sua barca ‘Mohican’ che ricorda un altro suo brand dedicato al mondo della Harley Davidson. Giorgio Giannelli è il primo ad arrivare in azienda con idee sempre nuove, l’ultimo la sera a chiudere il cancello. Un imprenditore di successo, vecchio stampo se vogliamo ma proiettato sempre nel futuro.

Chi è Giorgio Gianelli?

“Sicuramente un ex pilota di motocross, diventato poi imprenditore ma che ha sempre mantenuto la passione per le due ruote. Ho iniziato negli anni ’70 a correre, ma nei ritagli di tempo aiutavo già mio padre Furio in azienda: era un venditore di ricambi auto, che poi ha dato vita alla produzione di scarichi e silenziatori apportando anche migliorie a quelli che già erano in commercio; prima di auto, soprattutto quelle impegnate nelle cronoscalate, poi per le moto. Il momento delle gare era anche occasione per prendere i contatti con chi le costruiva, anche perché a quel tempo erano quasi tutti assemblatori: c’era Moto Gori, Moto Ancillotti oppure Svm ma di fatto il motore era sempre Sachs. Presi contatti con uno in particolare che era Giancarlo Gori perché, appunto, correvo con un Gori e per divertimento nell’officina del babbo mi cimentavo insieme allo zio a fare scarichi per la moto. Andai a correre in Garfagnana dove c’erano le moto ufficiali di quel tempo, quindi pronti via salitone arrivo in cima per primo in tutte e due le manche. Venne lì il ‘vecchio Gori’, Vasco padre di Giancarlo, con gli occhialini sulla punta del naso guardando la moto ma non riusciva a capire perché andava così forte. Si mette in ginocchio ed esclama ‘la marmitta non è quella che vi ho dato io’; in effetti non lo era, bensì qualcosa che avevamo fatto da soli. Lo stesso Gori, prendendo filetti di ferro e tracciando diagonali, acquisisce delle misure e mi chiede di produrne 20: forzo un po’ il babbo e decidiamo di accettare. Dopo pochi giorni chiama Piero Ancillotti, concorrente acerrimo di Gori ma entrambi toscani, e ne chiede 50 di marmitte; da lì in poi il passaparola, nuovi ordini talché abbiamo deciso di mollare le auto e specializzarci nella produzione di marmitte per moto. Le prime si sono fatte tutte a mano: seghetto, saldatura con il cannello e battitura. Poi abbiamo iniziato a comprare le attrezzature, non dico per farle a livello industriale ma un artigiano più evoluto. Prende vita la storia Giannelli: smetto di correre e inizio a lavorare definitivamente nell’azienda del babbo, ma la passione è sempre rimasta. Andavo a vedere le gare e un giorno mi venne in mente di iniziare a fare qualcosa di più specifico per le corse; a quel punto ho creato il marchio Arrow. Il primo testimone fu Michele Rinaldi. Per creare un certo interesse, per quasi un anno feci girare il logo senza far capire cosa si produceva. Erano, però, anche gli anni dove tutti cercavano i prodotti americani: ho quindi fondato Arrow USA con sede a Los Angeles, che di fatto era solo una cartella all’interno di uno studio legale però mi dava la possibilità di avere un indirizzo americano. Il campo, poi, si è sviluppato sempre di più negli anni fino ad oggi: sono stati momenti belli, il boom dello scooter quando con Giannelli per i grandi marchi producevamo 300-400mila marmitte l’anno”.

Cosa ricorda di quando era un apprezzato pilota di motocross?

“I ricordi sono sicuramente tanti: i momenti concitati della gara, il dopogara e le amicizie che si sono create poi rimaste nel tempo. Sicuramente non posso dimenticare la premiazione al Casinò di San Marino come pilota più giovane: era la mia prima gara di campionato del mondo con piloti già affermati a livello mondiale. Avevo 17 anni, mi accompagnavano a correre perché non avevo ancora la patente; in sella al mio 125 Simonini arrivai 14esimo in mezzo a tanti altri piloti decisamente più esperti di me. Giunsi al traguardo con il telaio quasi tranciato: bei tempi. Era un mondo diverso, frequentavi gente che spesso ti proponevano opportunità che dovevi cogliere al volo. Quando abbiamo iniziato le moto erano quasi tutte 2T, dopo abbiamo iniziato anche con il 4T”.

Se le dico Giannelli e Arrow, dove le sono le differenze?

“Con Giannelli, nata una decina di anni prima rispetto ad Arrow, è stato fatto sempre un prodotto molto più industriale per il primo equipaggiamento, lavorato con robot di saldatura: questo perché, di fatto, dovevano costare meno. Quindi c’è anche la differenza di materiali: in Giannelli parliamo in larga parte di ferro, mentre in Arrow subentra l’acciaio, il titanio e il carbonio per le protezioni. Negli anni ho ricevuto molte proposte di spostare la produzione in Paese con il costo del lavoro molto più basso, ma non ho mai accettato in modo da garantire sempre la qualità del Made in Italy e mantenere i posti di lavoro alle famiglie locali. Nei primi anni 2000 i grandi marchi guardarono in oriente per abbattere i costi, pensate che in un anno perdemmo quasi 10 milioni di fatturato. Fortuna con una redditività bassa: rischio tanto, guadagno poco. A quel punto abbiamo dirottato tutte le forze sul nostro brand Arrow con una serie di accessori per la moto; anche primo equipaggiamento, ma con prodotti più evoluti. Arrow, quindi, si affaccia anche al mondo delle corse con prodotti di elevata qualità e prestazioni decisamente superiori”.

Come nasce l’idea di produrre uno scarico?

“Torno sempre a quella grande passione per la moto. Più che mai l’idea è nata quando ho smesso di correre, perché prima li facevo per me ed era quasi un gioco. Da quel momento, per rimanere legato all’ambiente che frequentano, mi sono inventato il marchio e realizzato questi prodotti. Negli anni il marchio ha preso piede, è piaciuto e piano piano abbiamo iniziato ad allargare la produzione su tutto il resto”.

Quando l’approdo nei campionati del mondo?

“Come Arrow nel 1999, lo stesso anno in cui abbiamo vinto il mondiale con la Suzuki all’ora del Team Star Corona. Il primo con il prodotto vero, fino a quel momento partecipavamo solo con il marchio; di fatto una sponsorizzazione pura. Nel ’99, poi, c’è stato proprio il lancio vero ed abbiamo vinto il mondiale al primo colpo. Oggi come prodotto siamo presenti in tanti campionati nel mondo, ma di carattere nazionale, seguiti prevalentemente dai nostri distributori. Noi gli diamo una mano, gli facciamo i prodotti ma non li seguiamo direttamente. Copriamo quasi tutti i Paesi nel mondo che sono motorizzati”.

Quanto è attrattivo nel vostro settore il Made in Italy?

“Inizia ad essere molto attrattivo. In diversi hanno tentato di andare a produrre, a fare e a comprare roba cinese però alla fine il risparmio si è trasformato in grandi problemi. Soprattutto oggi, quando le moto escono Euro 5: questo per dire che ci sono problemi di omologazione davvero importanti. Determinati marchi esteri fanno molta fatica ad omologare, come quelli che arrivano da India o Cina; lo stesso vale anche per brand americani che ancora sono richiesti, ma si trovano di fronte a normative europee stringenti. Mentre altri vanno fortissimo: in Slovenia, per esempio, abbiamo un competitor grossissimo che si chiama Akrapovic. Questo per dire che il Made in Italy comincia ad essere sempre più valutato”.

Quali sono i problemi principali che caratterizzano il vostro settore?

“Numero uno la ricerca del personale. Quello è il problema più grande. Probabilmente anche la zona dove siamo non aiuta. Stiamo cercando saldatori, figura praticamente introvabile; gli ingegneri siamo costretti a prenderli da fuori; si trova brava gente che dovrebbe occuparsi del commerciale, ma più di un anno non ci stanno perché la vallata offre poco. C’è quindi grande difficoltà nel reperire manodopera, anche lavoratori comuni che prendono il furgone e vanno a consegnare”.

Ricerca e sviluppo sono le basi aziendali: come nasce uno scarico?

“Ragioniamo in due binari. Il primo è la collaborazione con una casa madre che ci forniscono delle indicazioni loro (dati tecnici su quello che deve essere il risultato finale) e come pure il design che desiderano avere nella moto. Abbiamo, quindi, uno spazio in cui lavorano gli ingegneri e tecnici, in base alle indicazioni sviluppiamo sia la parte estetica che quella prestazionale. L’altra linea, invece, è il prodotto nostro che va nel catalogo facendo molto ‘after-market’ per quasi tutti i marchi di moto, ma non per tutti i modelli. Recuperiamo moto da concessionari e cerchiamo di dare una veste nuova allo scarico: la marmitta fa molta estetica nella moto, non è come nell’auto che di fatto non si vede. Ovviamente non tralasciamo l’aspetto prestazionale. Poi abbiamo marmitte che devono rispettare normative di omologazione, altre da corsa; anche per quest’ultime, oramai da anni, nei circuiti devi rispettare certe normative di rumorosità di decibel che variano in base ai campionati e alle cilindrate. Oramai abbiamo una certa esperienza: in Arrow ci sono banchi prova, strumentazione da applicare alla moto per test su strada o pista, e variando anche i materiali offerti e richiesti”. 

In ambito professionale, qual è stata la più grande soddisfazione ricevuta?

“Premetto che è una domanda difficile da rispondere, anche perché – fortunatamente – sono state tante come riconoscimenti dalla Federazione. Sicuramente il primo mondiale vinto: quella è una soddisfazione incredibile perché ti scontri con aziende, marchi già esistenti sul mercato ed enti vincendo subito un campionato del mondo (era il 1999) con il tuo prodotto. Dopo il primo campionato vinto con il nostro prodotto ne abbiamo vinti tanti altri, sempre utilizzando prodotti nostri, sviluppati e costruiti qua in Arrow. La soddisfazione grande, quindi, è quando vinci e sai che quello scarico è stato prodotto qua dentro”.

Dalle moto alle auto: come nasce la collaborazione con Pagani?

“È nata per scherzo. A quel tempo avevo una Ferrari, dovevo fare il tagliando e conoscevo un ingegnere che lavorava nel reparto corse del ‘Cavallino’. Mi reco a Modena, porto la Ferrari in service per il tagliando e mi incontro con lui per andare a pranzo insieme. Mi propone di andare a vedere la Pagani, essendo amico di Horacio. Me lo presenta, persona incredibile e alla mano: ci mettiamo a parlare, gli dico che io producevo scarichi per le moto da corsa. Mi chiese se eravamo in grado di produrre anche scarichi per le auto: roba impegnativa, ma lui ha continuato a spingermi e richiederli per oltre tre anni. A quel punto cedo e gli chiedo una marmitta, oramai una decina di anni fa: la porto in azienda, studiamo il tutto sapendo che la scommessa era grossa. Lo scannerizziamo, facciamo una dima e lo replichiamo facendo anche quelle che secondo noi erano delle migliorie. Sta di fatto che, con relativa calma, facciamo un prototipo e glielo porto in azienda: lo montano e tutto tornava. Mi richiama Horacio dicendo che lo scarico era perfetto, superando anche tutti quelli che erano i test. Da lì siamo partiti con cinque, poi dieci e oggi gli facciamo tutta la produzione: un centinaio di pezzi all’anno”. 

Quali sono, nel tempo libero, le passioni di Giorgio Giannelli?

“Sicuramente la moto, per rimanere in tema, quella turistica oggi e poi la barca. Quindi nel periodo estivo, da giugno a settembre, quando posso vado in barca e poi da ottobre salgo in sella alla moto. Io sono un motociclista vero, lo scorso anno – per esempio – la vigilia di Natale con -3 gradi ero in sella alla mia Bmw in cima a Bocca Trabaria. Ho anche la passione per le auto, ma le uso pochissimo”.

A distanza di 40 anni, che realtà è oggi Arrow e come è strutturata l’azienda?

“Ci sono 150 persone che lavorano internamente, più una 50ina di artigiani esterni selezionati che negli anni e nel tempo li abbiamo fatti crescere anche qualitativamente. Li abbiamo formati e ad alcuni gli abbiamo addirittura comprato i macchinari in cambio di lavoro, poi ripagati. L’azienda si è evoluta molto: all’interno c’è un direttore commerciale, un amministratore e altre figure; in questi ultimi tre anni si è strutturata come un’azienda importante mentre prima era molto accentrata su di me seppure di Arrow – che oggi fattura circa 30 milioni di euro - ho mantenuto la presidenza”.

Nel futuro di Giorgio Gianelli cosa possiamo trovare?

“Bella domanda. Io spero tante belle cose. Finché ce la faccio e c’è la salute, oramai starò qua dentro. Arrow per me è come un figlio: un’azienda creata da zero, perché in questa parte di San Giustino non c’era niente prima; solo dei campi con erba alta. Ora in un’area di 14mila metri quadrati, ci sono circa 8000 metri coperti: capannoni modernissimi con tecnologie di ultima generazione”.

Redazione
© Riproduzione riservata
21/10/2025 11:37:06


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