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Financial Times, allarme Italia: “Con la stretta Bce rischia una crisi del debito”

Il sondaggio del quotidiano della City: per 9 su dieci è il Paese più esposto

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Il rischio, secondo il 90% degli economisti sondati dal Financial Times, è una vendita incontrollata dei titoli di Stato italiani nei prossimi mesi. A trainarla potrebbero essere le conseguenze delle mosse della Banca centrale europea (Bce), che dopo i rialzi dei tassi per complessivi 250 punti base condotti nel 2022, continuerà con la normalizzazione della propria politica monetaria per frenare le fiammate dei prezzi. Secondo il sondaggio del quotidiano londinese, l’ammontare del debito pubblico italiano rischia di complicare la vita al governo Meloni. A distanza di poco più di dieci anni dalla crisi del debito dell’area euro, l’Italia torna sotto strettissima osservazione. Poco prima di Natale la prima doccia gelata, con il nuovo programma di emissioni del Tesoro. Che ha portato da 278 a circa 320 i miliardi di euro la quantità di bond sovrani che il Mef emetterà nel corso del 2023. Novanta i miliardi del fabbisogno statale e 260 i bond (al netto dei Bot, circa 140 miliardi nel 2022) che andranno in scadenza il prossimo anno, per la precisione. Il fardello del debito circolante, 2.290 miliardi di euro, è elevato e il percorso della Bce influenzerà anche gli interessi passivi sul debito, già previsti in salita. Così come il rendimento del Btp decennale è lo specchio della nuova normalità, essendo passato dall'1,16% di inizio gennaio 2022 al 4,53% di ieri. Ed è per questo che nel sondaggio del FT mette in luce la fragilità del debito italiano, che resta uno dei più alti del mondo. Al quotidiano britannico Marco Valli, capo economista di UniCredit, ha affermato che le «maggiori esigenze di rifinanziamento del debito» del Paese e la situazione politica «potenzialmente complicata» lo hanno reso più vulnerabile a una svendita del mercato obbligazionario.

Valli non è il solo a nutrire dubbi sulla tenuta, prima di tutto politica, del Paese. Il nuovo governo italiano «per ora ha dato pochi motivi di preoccupazione per gli investitori», ha affermato al FT Veronika Roharova, responsabile dell'economia dell'area dell'euro presso la banca svizzera Credit Suisse. «Ma le preoccupazioni potrebbero riaffiorare se la crescita rallenta, i tassi di interesse continuano a salire e le emissioni [di debito] riprendono», ha aggiunto. E il quadro si complicherà quando da marzo la Bce inizierà il processo di riduzione del proprio portafoglio, attraverso lo stop al reinvestimento dei titoli acquistati tramite l’Asset purchase programme (App). In altre parole, quando avvierà il Quantitative tightening (Qt). Mossa che, considerati i copiosi acquisti di titoli governativi italiani nell’ultimo decennio, avrà un contraccolpo significativo.

Cauto e ottimista, anche alla luce di esigenze di rifinanziamento più marcate rispetto al 2022, era stato poche settimane fa il direttore generale del Mef per il debito pubblico, Davide Iacovoni. Il quale, presentando le “Linee guida per la gestione del debito pubblico 2023” aveva sottolineato che non c'è una preoccupazione elevata. Anche con l'incremento del costo del denaro da parte dell'istituzione guidata da Christine Lagarde, spiega Iacovoni, «non abbiamo visto una situazione particolarmente critica sull'Italia». Vero, ma visto che gli aumenti dei tassi continueranno per buona parte del 2023 - sul campo ci sono tre rialzi da 50 punti base nelle riunioni di febbraio, marzo e maggio - le potenziali esternalità negative sono numerose.

C’è poi un'ulteriore sorgente di incertezza. E cioè la credibilità percepita dell’esecutivo guidato da Giorgia Meloni. Che ha iniziato la sua legislatura all’insegna dello scontro aperto. Nel primo discorso alla Camera da presidente del Consiglio, Meloni ha attaccato Francoforte e le sue decisioni di politica monetaria. Parole che non sono passate inosservate a funzionari e investitori istituzionali, così come la mancata ratifica della riforma del trattato dello European stability mechanism (Esm), il fondo Salva-Stati. Malumori sui mercati finanziari sono arrivati anche dalla legge di Bilancio, considerata troppo debole e troppo incentrata a sussidi e incentivi per essere incisiva. E poi il Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr), la cui messa a terra resta un rilevante punto interrogativo per analisti ed economisti. I quali, come evidenzia il sondaggio del FT, stanno perdendo la pazienza e iniziano a guardare a Roma con scetticismo crescente.

Notizia e foto tratte da La Stampa
© Riproduzione riservata
03/01/2023 13:48:10


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