Tra le fonti dell’infelicità
“Siamo abitati da due entità diverse, quella della Specie e quella dell’Io"
Negli ultimi 15 anni mi sono chiesto spesso, e con assiduità, perché ci siamo liquefatti socialmente, perché le famiglie (a iniziare dalla mia, naturalmente) si sbriciolano, i ruoli si invertono, e rimaniamo alla ricerca di un benessere interiore e di una affermazione personale che portano inesorabilmente dallo psicologo e al fallimento percepito delle nostre personalità. Perché non ci accontentiamo più, anzi meglio, mai. E l’ho studiato, parecchio, nella mia profonda cultura da Bignami (se non sapete cosa significa “Bignami” smettete subito di leggere queste riflessioni e guardate su Google, potrà esservi utile),
“Siamo abitati da due entità diverse, quella della Specie e quella dell’Io, e i loro interessi sono in un naturale conflitto: la caratteristica inconscia fondamentale è che dentro di noi vige una sorta di economia della specie, nella quale noi siamo dei semplici funzionari chiamati a crescere, a generare e a morire. Nell’economia della specie c’è una sorta di crudeltà innocente dovuta al fatto che se non ci fossero nuove generazioni la specie si estinguerebbe. Ma dato che noi non ci rassegniamo a questa insignificanza dell’esistenza, viviamo a partire da un’altra soggettività, che è l’io e tutta la nostra vita si svolge sotto l’economia dell’io, che è antitetica a quella della specie.” Poi in fondo è quello che ci differenzia dagli animali. Ma in qualche modo noi facciamo parte del mondo animale e delle sue dinamiche.
Non mi dilungo sugli studi (altrui, ovviamente) ma sulle implicazioni sulla nostra esistenza attuale: ci creiamo un continuo progresso sociale che ogni giorno si distacca un po’ dall’economia della specie che è parte integrante e inscindibile della nostra essenza. Per dare un senso alla nostra vita di esseri pensati e senzienti tentiamo di allontanarci sempre di più dalla semplice esistenza di specie, creiamo progetti, illusioni talvolta, teoremi e un continuo futuro fatto di un eterno presente che vorremmo perpetuare all’infinito. Mentre fino a pochissimi decenni fa le regole sociali e della convivenza tra gli uomini, in buona sostanza anche dalle religioni, erano permeate dalla consapevolezza della “specie” oggi non le accettiamo più e cerchiamo di valorizzare la singola individualità: alla continua ricerca di diritti giusti e sacrosanti ci discostiamo dalla nostra natura e da ciò che ci chiede: nascere, crescere, produrre figli per educarli e difenderli, avviarsi alla conclusione della nostra esistenza.
Divorzio: non vuoi accettare la fine di una convivenza infelice? Ma certo, ci mancherebbe. Aborto: non vuoi permettere la possibilità di poter rinunciare alla procreazione se indesiderata per ogni motivo plausibile alla madre? Ovvio, sicuramente. Eutanasia: ma perché dobbiamo forzare la gente a vivere se non è più un suo desiderio? E se ti percepisci di un sesso diverso? E se vuoi cambiare sesso? E se ti senti socialmente obbligato a sposarti o ad avere figli? E se devi rinunciare ad una carriera, ad una passione, agli studi, ad una economia perché l’orologio biologico ti impone scelte procreative? E se il tuo fisico (ohibò) invecchia non vuoi avere la chirurgia estetica che ti riporti ad una desiderabilità sociale/sessuale? E poi i figli di single o diversi? E perché poi chiamarli diversi, diversi da chi? E il ciclo mestruale non può essere temporaneamente invalidante? E il seno non può essere un legittimo impedimento meccanico? E la naturale decadenza fisica maschile non dovrebbe essere contrastata dalle pasticche bluastre? Perché tu vali. Ogni singolo vale, ogni legittima diversità, ogni sensibilità, ogni aspirazione individuale. Tutto giusto e corretto. Ma la società si sta ripiegando su se stessa e tentiamo in molti modi di costringere la nostra economia di specie ad ogni nostra legittima inclinazione.
E così entriamo in continua contraddizione con noi stessi, in perenne conflitto tra la nostra natura, le nostre tradizioni, e le nostre ambizioni, sensibilità e illusioni: vogliamo i presepi e i crocefissi ma non la religione, vogliamo la libertà ma senza società, oppure vogliamo la società ma senza limitazioni individuali. Vogliamo la famiglia ma al di fuori dei canoni patriarcali o matriarcali tradizionali, e quando possiamo o vogliamo, e a tempo determinato. Vogliamo i figli ma non vogliamo essere i genitori “di un tempo”, oppure non abbiamo (ormai) figli e quindi riversiamo il nostro “amore” su cani e gatti (“che sono migliori di molti esseri umani”); e così all’infinito. Penso che un giorno i single, o chi figli non ne ha, dovrà pagare una tassa per mantenere (congruamente) chi invece decide di metterne al mondo più di uno, una sorta di “coppie fattrici” come negli allevamenti, pena la decadenza demografica irreversibile.
Alla continua ricerca dell’Io entriamo sempre più in conflitto con la Specie e, credo, creiamo i presupposti per le nostre continue insoddisfazioni e delusioni. Mi viene in mente la chiosa di Jap Gambardella (La grande bellezza): "Hai cinquantatrè anni, una vita devastata, come tutti noi. Allora, invece di farci la morale, di guardarci con antipatia, dovresti guardarci con affetto. Siamo tutti sull'orlo della disperazione, non abbiamo altro rimedio che guardarci in faccia, farci compagnia, pigliarci un po’ in giro, o no?"
PS: non ho nessun titolo per fare analisi (come già detto), solo riflessioni personali in pubblico, io non ho soluzioni.
Marco Cestelli
MARCO CESTELLI: Persona molto conosciuta a Sansepolcro, studi economici e commerciali a Milano, manager e imprenditore, scrittore, conferenziere e comunicatore, ha viaggiato in molte parti del mondo, ha sperimentato innovazioni e il valore della cultura. Legatissimo alla sua terra ama l’arte e la storia, la geopolitica e la cultura europea. Sa di non sapere mai abbastanza.
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