Ettore Bugatti, quando arte e meccanica si fondono
Un rivoluzionario della meccanica, anche se la sua famiglia lo avrebbe voluto dedito all'arte
Ettore Arco Isidoro Bugatti sembra essere destinato a una vita da artista. Suo padre, Carlo, è un designer di mobili e gioielli in stile Art Nouveau, suo fratello, Rembrandt, è uno scultore, mentre sua zia Luigia, è la donna del pittore Giovanni Segantini, e il nonno paterno, Giovanni Luigi Bugatti, un architetto che si diletta anche nella scultura. Ettore, con un contesto del genere è indirizzato verso un unico sentiero, all'apparenza lastricato, che lo introduce a frequentare l'accademia di Brera, nella città di Milano, che gli ha dato i natali nel 1881. Tuttavia, egli si ribella a un destino che sembra già iscritto negli astri, lasciando le belle arti e tuffandosi nella meccanica, che rappresenta la sua primaria passione. La creatività, come quella di un artista di rango, resta sempre al primo posto, perché la natura non si può ingannare fino in fondo.
Il pallino della meccanica
La meccanica diventa un caldo rifugio di Ettore Bugatti, fin dall'età più tenera. Da ragazzino ripara piccoli motori senza alcun tipo di preparazione, mettendo in mostra un'attitudine naturale, e quando compie 16 anni comincia una sorta di praticantato nell’azienda Prinetti e Stucchi. Appena un anno dopo quell'evento, disegna il proprio triciclo a motore, partecipando a una gara che si svolge tra Parigi e Bordeaux. Al compimento della (odierna) maggiore età disegna la sua prima automobile. Inizia in questa maniera l'epopea di Bugatti.
Non trascorre molto prima che le aziende più rinomate del settore mettano nel mirino questo talento in erba. Chi fa il passo in avanti nel corteggiare Ettore Bugatti è la De Dietrich, specializzata nel settore chimico ed energetico e produttrice di auto già dalla fine dell'Ottocento. L'azienda mette sotto contratto il milanese, che introduce subito grandi novità, come l’avvicinamento della posizione di guida per migliorare la manovrabilità e il concetto di aerodinamicità del mezzo, che cambierà la storia delle quattro ruote.
Bugatti si mette in proprio
Nel 1909 scatta l'ora di mettersi in proprio, così Ettore Bugatti fonda la fabbrica che porta il suo nome di famiglia. Non lo fa in Italia, ma sceglie Molsheim, località dell'Alsazia, una delle regioni europee più contese della storia, tra due potenze in perenne conflitto come Francia e Germania. Il suo approccio alla produzione di auto è duplice: da una parte conservatore, sfruttando le conoscenze già consolidate del suo periodo, dall'altra innovatore, cercando di apportare delle novità per stravolgere il campo d'azione. Non è un caso che Bugatti punti molte delle sue fiches sulla distribuzione plurivalvole, che garantisce alla sua azienda un certo ritorno di immagine, perché si presenta come una scelta tecnica alternativa alle classiche distribuzioni a due valvole per cilindro.
In parallelo all'attività commerciale, si fa strada quella agonistica, dove Bugatti partecipa per vincere. Il modello Type 35 si impone nei Gran Premi internazionali e vince anche a Monaco, con lo stesso patron Ettore al volante. Un tripudio assoluto, che dona fama e prestigio a tutta l'azienda.
Con lo scoppio della Prima Guerra Mondiale, anche la fabbrica Bugatti dà il proprio contributo allo sforzo bellico, producendo aerei e motori per volare. Una volta che le armi iniziano a tacere, la produzione torna quella di prima, anche se l'obiettivo diventa quello più ambizioso di tutti: diventare i primi al mondo. Prima arrivano le affermazioni alla Targa Florio, poi, viene lanciato il guanto di sfida a Rolls-Royce e Maybach, realtà di extra lusso che Bugatti mette nel mirino. Per sopravanzare sui rivali viene progettata la Royale, nota anche come Gold, una delle più faraoniche vetture di sempre.
Quando gli anni Quaranta bussano alla porta, subentra la crisi. Nel 1939 muove il figlio Jean, poi, l'Alsazia viene inghiottita dall'armata tedesca, che travolge la Francia nella "Blitzkrieg". Nel 1941, la fabbrica di Molsheim viene sequestrata e a Ettore Bugatti non resta che venderla volontariamente, prima di vederla andare all'asta. Con la morte nel cuore, il patron cede la sua creatura per 150 milioni di franchi, la metà del suo reale valore. Alla fine della guerra, però, arrivano altri problemi. Bugatti viene processato con l’accusa di collaborazionismo, a causa della vendita della sua fabbrica.
Condannato, gli vengono confiscati tutti i beni personali. Solo pochi mesi dopo la sua morte, avvenuta all’ospedale americano di Neuilly-sur-Seine nel 1947, Ettore Bugatti viene finalmente assolto al processo d’appello. Una beffa che purtroppo lascerà l'amaro in bocca.
Nemmeno l'inserimento del suo nome nell’Automotive Hall of Fame, insieme a tutte le maggiori personalità legate al mondo dell’automobile, a testimonianza del suo ruolo fondamentale per tutto il settore, riuscirà dar giustizia a quel fango subito nell'ultimo barlume di vita.
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