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La verità sui giganti dell'Isola di Pasqua

Scoperto il segreto dei "Moai" trasportati dal popolo Rapa Nui solo con l'ausilio di corde

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Dopo anni di spedizioni dal 1999 a oggi, finalmente un test svela uno dei segreti più affascinanti dell'Isola di Pasqua. L'équipe scientifica guidata dai professori di antropologia e archeologia Terry Hunt dell'Università delle Hawaii e Carl Lipo della California State University Long Beach è riuscita a dimostrare concretamente il modo in cui le gigantesche sculture monolitiche di pietra che hanno reso celebre l'isola in tutto il mondo, i moai, siano state trasportate dalla cava in cui venivano prodotte fino ai punti sacri dell'isola dove venivano disposte in gruppi anche di sette o otto.
Niente extraterrestri - in passato era stata sfiorata anche questa fantasiosa ipotesi - e niente trasporto delle statue adagiate in modo orizzontale su tronchi di legno. «La verità è un'altra - spiega a La Stampa Terry Hunt - e noi siamo riusciti finalmente a dimostrarla». Lo scorso novembre - ma la notizia è stata resa nota solo adesso - il National Geographic's Expeditions Council ha finanziato il test dei due professori che davanti alle telecamere hanno fatto trascinare da un gruppo di 18 persone un moai di 5 tonnellate, alto tre metri. Il moai è stato spostato con l'aiuto di corde in modo che rimanesse sempre in posizione verticale. Dalle immagini appare come una figura enorme, quasi danzante da sola, riesca a muoversi grazie all'aiuto di poche persone. E se non bastasse, un'altra conferma arriva dalla cava più importante dell'isola, Rano Raraku, dove il popolo Rapa Nui produceva le sue gigantesche sculture che raffiguravano gli antenati protettori. A mostrarcela l'ex governatore dell'isola Sergio Rapu, diventato archeologo e collaboratore di Hunt. «Basta guardare al taglio della base - spiega Rapu -, era fatto in modo da facilitare il trasporto. La base non era né piatta né regolare ma curva, permettendo così ai moai di reggersi sempre in piedi anche in movimento, dondolando per non cadere». Da notare che rispetto al resto del corpo la base veniva levigata solo in sito, quando il trasporto si era concluso. «Questo -continua l'ex governatore - permetteva eventualmente di correggere le possibili ammaccature prodotte nel trasporto».
Non contiene l'entusiasmo Terry Hunt, autore insieme al collega Lipo del volume The Statues That Walked, con cui ha vinto quest'anno il premio della Society for American Archaeology per il miglior libro destinato al grande pubblico. «Questo test aggiunge un tassello importante alla mia teoria sulla fine della cultura Rapa Nui». Contro l'ipotesi del suo prestigioso collega, lo scienziato Jered Diamond, che vede nell'isola un esempio straordinario di «collasso di una civiltà» per ipersfruttamento delle proprie risorse naturali, Hunt sostiene il contrario. «Questa civiltà non è finita perché si sono tagliati centinaia di alberi per trasportare i Moai, ma gli alberi - si parla di milioni di palme oggi scomparse - sono stati distrutti dai topi portati, insieme alle malattie, dai primi Europei nel XVIII secolo». I Moai non hanno colpa dunque per Hunt ma furono l'espressione più alta di una civiltà conclusasi con l'arrivo dell'uomo occidentale. Anche se pare che i primi europei, quando arrivarono sull'isola, la trovarono già spoglia. La Stampa
Redazione
© Riproduzione riservata
24/06/2012 12:45:15


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