Opinionisti Francesco Del Teglia
Un groppo in gola
Borsellino, un uomo che aveva piena coscienza di essere “condannato a morte certa”
Ho rivisto, per l’ennesima volta, in una rete televisiva nazionale il docu-film che ripercorre la vita e la morte del giudice Paolo Borsellino nella ricorrenza del suo omicidio. Presumo l’abbiano visto in tanti. Ogni volta che vedo quelle immagini, dove si mescolano sapientemente fiction e realtà, mi viene un groppo alla gola, mi si chiude lo stomaco. Per le crude immagini che documentano quanto avvenne a Palermo in quegli anni, ovvio. Ma sopratutto per l’emblematica rappresentazione di un uomo che aveva piena coscienza di essere “condannato a morte certa” dopo che la morte violenta aveva raggiunto il suo amico e collega Giovanni Falcone. Un’autodichiarazione che lascia sgomenti e attoniti, pensando che stiamo parlando di un’alta carica della giustizia, di un servitore dello Stato che proprio per la mission che portava avanti – quella cioè di difendere lo Stato dal cancro della delinquenza più efferata e terribile – avrebbe dovuto essere difeso e preservato come simbolo della lotta al malaffare. In primis dalla politica, cosa che non fu, né per lui né per Giovanni Falcone. E’ di una tristezza infinita quella constatazione dell’uomo Borsellino, sapere di dover morire per il “reato” di compiere il proprio dovere a tutela della comunità. Oggi, come in passato, si ricorda il suo sacrificio, di lui e di tanti altri servitori dello Stato. Si fanno cerimonie, si intitolano strade e piazze, si spendono parole. Ma nessuno che abbia mai il coraggio di andare a fondo di vicende oscure e contorte, tragiche e luttuose, di squarciare il velo dell’ipocrisia e delle trame segrete per dare risposte concrete e sicuramente anche scomode, che spieghino fino in fondo come sono andate realmente le cose. Del resto l’Italia è così da sempre. Splendido Paese che ha però armadi così pieno di scheletri misteriosi da far rabbrividire. Dal disastro del Vajont a Ustica, dalle stragi dell’Italicus, di Piazza della Loggia, di Piazza Fontana, della stazione di Bologna. Fino all’uccisione di Aldo Moro e tanti altri casi inquietanti che adesso dimentico. Fino al triste destino che accomuna da decenni i terremotati, siano del Belice, di Amatrice, di L’Aquila, lasciati spesso al proprio destino senza tutele reali dopo aver già perso tutto. In questo splendido Paese succedono ciclicamente cose terribili sulle quali, passata l’emotività del momento, si passa una mano di vernice, si preferisce non indagare a fondo per scoprire la verità e magari fare i nomi e cognomi di qualche “eccellente” colluso, e si lascia spazio solo alla vuota retorica. Un groppo in gola, lo stomaco chiuso. E pure una sorda rabbia mista a impotenza. Quelle che provo a ripercorrere certi eventi ma anche proiettate in un futuro che non darà risposte e verità. Mai. Sarà pure un Paese splendido l’Italia, ma finchè certi misteri resteranno – da parte di chi tira i fili del nostro quotidiano – volontariamente irrisolti, è indegno di chiamarsi civile e democratico.
Francesco Del Teglia
Giornalista pubblicista di lungo corso, è inviato fisso per Sansepolcro e la Valtiberina Toscana del quotidiano Corriere di Arezzo fin dalla sua nascita, nel 1985, ma vanta esperienze anche a livello televisivo e collaborazioni con periodici vari. Politica e sport i campi di particolare competenza professionale. È stato anche addetto stampa di vari enti.
Le opinioni espresse in questo articolo sono esclusivamente dell’autore e non coinvolgono in nessun modo la testata per cui collabora.
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