Opinionisti Claudio Cherubini

Borghesi da sempre, mai biturgensi

Gli abitanti di Sansepolcro si chiamano borghesi

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Voglio approfittare di questa rubrica per dare eco ad alcune riflessioni del professor Enzo Mattesini, linguista e filologo, docente di Storia della lingua italiana presso l’Università degli Studi di Perugia, in merito al nome che viene dato agli abitanti di Sansepolcro.

Innanzitutto partiamo dal fatto che dalle nostre parte chi dice Borgo dice Sansepolcro. Borgo è sinonimo di Sansepolcro nel parlare comune. Ad esempio: appena fuori dalle mura urbiche è diffusa l’abitudine di dire “vado al Borgo” per indicare l’andare verso il centro del paese. Questo modo di dire è fondato sull’antico nome che era Borgo del Santo Sepolcro (Burgus Sancti Sepulcri). Poi nel tempo è sparito il “del” per diventare Borgo San Sepolcro e alla fine il nome della città si è trasformato semplicemente in Sansepolcro, congiungendo “San” con  “Sepolcro”, facendo scomparire la forma tronca del “Santo” per meglio nascondere il “Sepolcro” e dare così a questo luogo un’assonanza meno funerea. Ma all’origine era Burgus, un termine tardo latino oppure di origine greca, ma con influsso germanico, che indica la presenza di una fortificazione di difesa e avvistamento. In principio era un piccolo nucleo abitato con una cinta muraria a difesa delle reliquie del sepolcro di Cristo che la leggenda dice portate in valle dalla Terra Santa da Egidio e Arcano verso la fine del primo millennio. Agli inizi del 1000 c’era già un monastero benedettino (primo documento datato 1012) e ciò determinò lo sviluppo demografico del Borgo che incominciò a prendere il nome dall’abbazia del luogo dove si venerava il Santo Sepolcro. Quindi questo nucleo urbano si chiamò probabilmente prima “Borgo al Santo Sepolcro” e poi come ci documenta Andrea Czortek “nel 1101 si parla di Vicus Sancti Sepulcri e nel 1116 di Burgus Sancti Sepulcri”.

Ecco che allora, fin dal Medioevo, gli abitanti di questo agglomerato urbano lo indicano come Borgo: molti antichi testi in volgare fin dai primi del Trecento e poi Piero della Francesca si firmava “Petrus de Burgo”, Luca Pacioli “Luca dal Borgo”, Francesco del Cera, importante architetto del Quattrocento nato a Sansepolcro e operante a Roma, era detto “Francesco del Borgo”, sulla tavoletta votiva della Compagnia del Crocifisso, esposta al museo civico, si legge che per la peste si fugge “dal Borgo”, come ci evidenzia anche il professor Enzo Mattesini nell’ultimo numero del periodico «L’Oratorio di Anghiari». Qui ci spiega anche che “in pieno fervore umanistico-rinascimentale, dopo la riscoperta della Tabula Peuntigeriana, ebbe origine la tradizione erudita che il sito dove sorgeva la cittadina, fiorente e popolosa e da poco entrata nell’orbita politica della dominante Firenze (1441), dovesse identificarsi con quello della romana Biturgia citata da Plinio (…), città dell’Etruria, che in realtà è invece situata tra Arezzo e Firenze. Da questa fantasiosa identificazione, che mirava a nobilitare le origini del Borgo allontanandole nel tempo, derivò l’etnico-aggettivo biturgense documentato verosimilmente a partire dall’ultimo quarto del XV secolo (o piuttosto nel pieno ‘500) soprattutto in ambito ecclesiastico (biturgensis), dove ha la sua pressoché unica diffusione. Da qui giunge fino a noi ed è comunemente preferito nelle scritture, soprattutto in quella giornalistica – basti leggere le cronache locali – ed è ancora di buon impiego nell’onomastica commerciale e turistica”. Il prof. Mattesini attribuisce il successo di questo aggettivo “biturgense” al fatto che sia ritenuto ancora oggi più colto rispetto al popolare aggettivo “borghese”, che però resta il più diffuso su tutta la valle, da Verghereto a Umbertide, nel Montefeltro e nell’Aretino. In queste aree geografiche la città di Sansepolcro insiste il professor Mattesini “è semplicemente denominata Il Borgo (con l’articolo) e borghesi i suoi abitanti (aggiungendo, quasi con un sorrisetto beffardo, che sono detti anche biturgensi)”, rilevando così come l’essere borghese e non biturgense rilevi una carica fortemente identitaria. E non si dica che “borghese” per abitante di Sansepolcro si confonde con “borghese” nel senso di appartenenza alla classe della borghesia: da un lato c’è il senso del discorso e dall’altro nei testi si può usare con l’iniziale maiuscola, come qualcuno ha già fatto. Poi su questa distinzione potremmo anche essere molto più tecnici e ancora una volta citare il professor Mattesini che in un suo saggio del 2002 su «Pagine Altotiberine» (e poi nel libro Piero, Luca e il Borghese del 2016) riporta come esempio della fonematicità della s proprio il termine “borghese” con la s sibilante sorda per l’abitante di Sansepolcro e la s sonora per il membro della borghesia (vedi anche libro Piero, Luca e il Borghese del 2016).

Concludo queste brevi note “rimproverando” i giornalisti, ma peggio ancora qualche storico, che continuano a chiamare gli abitanti di Sansepolcro “biturgensi”. Se mai nel luogo dove sorge Sansepolcro ci sia mai stata una “Biturgia” ancora deve essere dimostrato, mentre è dimostrato che non è quella citata da Plinio. Quindi cessiamo di usare l’aggettivo biturgense! Qui c’era un Borgo intorno alle reliquie del Santo Sepolcro. Gli abitanti di Sansepolcro sono borghesi del Borgo e per questa ragione sarebbe opportuno anche che gli amministratori comunali (seppure la procedura è complessa) si attivassero per cambiare il nome della città da Sansepolcro in quello di Borgo San Sepolcro. 

Articolo già pubblicato nel numero di ottobre 2020 del mensile di Città di Castello “l'altrapagina”.

Redazione
© Riproduzione riservata
20/11/2020 14:47:03

Claudio Cherubini

Imprenditore e storico locale dell’economia del XIX e XX secolo - Fin dal 1978 collabora con vari periodici locali. Ha tenuto diverse conferenze su temi di storia locale e lezioni all’Università dell’Età Libera di Sansepolcro. Ha pubblicato due libri: nel 2003 “Terra d’imprenditori. Appunti di storia economica della Valtiberina toscana preindustriale” e nel 2016 “Una storia in disparte. Il lavoro delle donne e la prima industrializzazione a Sansepolcro e in Valtiberina toscana (1861-1940)”. Nel 2017 ha curato la mostra e il catalogo “190 anni di Buitoni. 1827-2017” e ha organizzato un ciclo di conferenza con i più autorevoli studiosi universitari della Buitoni di cui ha curato gli atti che sono usciti nel 2021 con il titolo “Il pastificio Buitoni. Sviluppo e declino di un’industria italiana (1827-2017)”. Ha pubblicato oltre cinquanta saggi storici in opere collettive come “Arezzo e la Toscana nel Regno d’Italia (1861-1946)” nel 2011, “La Nostra Storia. Lezioni sulla Storia di Sansepolcro. Età Moderna e Contemporanea” nel 2012, “Ritratti di donne aretine” nel 2015, “190 anni di Buitoni. 1827-2017” nel 2017, “Appunti per la storia della Valcerfone. Vol. II” nel 2017 e in riviste scientifiche come «Pagine Altotiberine», quadrimestrale dell'Associazione storica dell'Alta Valle del Tevere, su «Notizie di Storia», periodico della Società Storica Aretina, su «Annali aretini», rivista della Fraternita del Laici di Arezzo, su «Rassegna Storica Toscana», organo della Società toscana per la storia del Risorgimento, su «Proposte e Ricerche. Economia e società nella storia dell’Italia centrale», rivista delle Università Politecnica delle Marche (Ancona), Università degli Studi di Camerino, Università degli Studi “G. d’Annunzio” (Chieti-Pescara), Università degli Studi di Macerata, Università degli Studi di Perugia, Università degli Studi della Repubblica di San Marino.


Le opinioni espresse in questo articolo sono esclusivamente dell’autore e non coinvolgono in nessun modo la testata per cui collabora.


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