Opinionisti Claudio Cherubini

Briganti e disgraziati

Un paio di assalti lungo la via Libbia

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Nel primo decennio dopo l’Unità d’Italia ci furono reazioni negative nei confronti del nuovo Stato in particolare da parte dei ceti popolari a cui non erano giunti quei benefici sperati nei moti risorgimentali. La svalutazione della moneta, la leva obbligatoria, il peggioramento della situazione economica dei contadini, l’esclusione delle classi povere da qualunque forma di partecipazione alla vita politica e amministrativa, il crescente gravame fiscale sui beni di prima necessità fino alla tassa sul macinato reintrodotta dal 1869 (e subito ribattezzata “tassa sulla fame”) provocarono moti di ribellione anche in provincia di Arezzo e in particolare in Valtiberina, tanto da diventare oggetto anche di ripetute interpellanze parlamentari.

Tra il 1865 e il 1868 la Valtiberina era “infestata da malfattori” come ci racconta lo storico aretino Alberto Forzoni: “Sotto la guida di Domenico Chiaretti e Pietro Pernici una ventina di banditi mettono a segno una lunga serie di estorsioni e furti violenti a danno di possidenti, bottegai, passeggeri di diligenze e sacerdoti. I religiosi in questione sono don Antonio Bernacchi, titolare della canonica di San Martino a Compito (comune di Chiusi della Verna) e don Antonio Arcaleni, parroco di Trevine nei pressi di Monte Santa Maria. Di quest’ultima località i malviventi aggrediscono e derubano perfino il sindaco. Viene assalita anche la villa di Giuseppe Carsughi, proprietario di una filanda a Sansepolcro, al quale i banditi rubano contanti e gioielli per oltre 1800 lit.”. Dalle ricerche del Forzoni si viene a sapere anche che negli stessi anni nell’aretino, oltre questi e altri delitti “minori”, venne assassinato l’ingegnere Filippo Tantini, accollatario dei lavori ferroviari alla periferia di Arezzo e due carabinieri: “I militi muoiono nel corso di distinti attacchi alla diligenza postale da parte dei banditi mascherati, rispettivamente al «Pontaccio» e sulla salita dello Scopetone, località entrambe nei pressi di Arezzo”.

 

Le strade erano il luogo dei misfatti dei briganti, ma anche le loro vie di fuga. Negli anni dell’Unità d’Italia tutta la penisola aveva una rete di infrastrutture carente sotto ogni aspetto. Anche i collegamenti della Valtiberina erano ancora precari sia verso Arezzo dove la strada rimaneva malagevole, sia verso Perugia dove si lamentava l’assenza di un regolare servizio di diligenze, sia verso Urbino dove non c’era alcuna diligenza in servizio tanto che addirittura il servizio postale per i 33 Km da Mercatello sul Metauro a Sansepolcro veniva svolto a piedi “da n. 3 individui pei tratti da Mercatello a Lamoli, da Lamoli a Valpiana e da Valpiana a S. Sepolcro” ci spiega un foglio periodico del versante marchigiano del 1878 che chiosa: “eppure lo scambio dei prodotti Agricoli fra le Marche e la Provincia nostra, in ispecie colla Valle Tiberina, non è per nulla indifferente”. Nel 1880 fu avviata una petizione per istituire un corriere a cavallo, come documenta una lettera del sindaco di Sant’Angelo in Vado conservata nell’Archivio storico comunale di Sansepolcro.

Il capoluogo della valle, come oggi, era collegato con Arezzo con la strada della Libbia, ormai interamente rotabile, e con l’altra rotabile chiamata “Strada Regia dell’Adriatico”, quella che conduceva verso Firenze attraverso la valle del torrente Cerfone e verso l’Adriatico per il valico di Bocca Trabaria. Tra le due la strada della Libbia era preferita perché più breve, ma era infestata dai briganti ancora sul finire dell’Ottocento.

A seguito della rivolta popolare del gennaio 1869 contro la tassa sul macinato il ministero dell’Interno inviò l’esercito, ma si lamentò della scarsa collaborazione della popolazione. La rivolta popolare fu domata, ma gli episodi di criminalità perdurarono tanto che nel 1871 tornarono ad Arezzo altri due battaglioni di fanteria e uno d’artiglieria. Negli anni successivi le azioni banditesche calarono anche se non scomparvero. Ad esempio si possono citare un paio di episodi.

Lo storico aretino Luigi Armandi (recentemente scomparso) ci riferisce che per la strada della Libbia, il 14 ottobre 1875 il sottotenente dei carabinieri Angelo Scolari di stanza a Sansepolcro affrontò tre banditi che assalirono la diligenza e completa il racconto l’anghiarese Carlo Giabbanelli, attingendo alla testimonianza che il sindaco di Anghiari inoltra alla prefettura (conservata nell’Archivio storico comunale di Anghiari), dicendoci che il fatto avvenne lungo la salita dopo il Chiaveretto, che oltre al tenente c’era un altro viaggiatore, che fu rubato un orologio, che i tre banditi erano armati, che il carabiniere venne colpito con un colpo di pistola alla gamba destra e che riportò diverse ferite di arma bianca “fra cui una al fianco ed altre nella testa”.

Un altro fatto criminale avvenne sempre lungo la strada della Libbia dalle parti di Tavernelle il 19 giugno 1884, a patirlo fu Giovanni Severi, avvocato e parlamentare aretino, che subì, come ci racconta lo storico Vittorio Vigorita, “una rapina da parte di quattro malviventi dall’accento romagnolo, armati di fucili. Gli sottrassero «l’orologio, la catena d’oro con le due medaglie di deputato e 80 lire, nonché il revolver. Il solo broloque, che racchiudeva un ricordo della sua amatissima moglie, potè salvare in seguito a reiterate preghiere»”.

Spesso erano briganti “per necessità” perché, come dice l’Armandi, “il bisogno porta anche alla devianza”. Per questo furono rari i fatti di sangue, mentre le gesta dei briganti venivano esaltate e “mitizzate” dai racconti popolari, nelle veglie contadine e nei canti in ottava rima, come per il più famoso brigante dell’aretino Federigo Bobini detto Gnicche. Ma di lui ne parleremo un’altra volta.

Claudio Cherubini
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06/08/2022 12:52:10

Claudio Cherubini

Imprenditore e storico locale dell’economia del XIX e XX secolo - Fin dal 1978 collabora con vari periodici locali. Ha tenuto diverse conferenze su temi di storia locale e lezioni all’Università dell’Età Libera di Sansepolcro. Ha pubblicato due libri: nel 2003 “Terra d’imprenditori. Appunti di storia economica della Valtiberina toscana preindustriale” e nel 2016 “Una storia in disparte. Il lavoro delle donne e la prima industrializzazione a Sansepolcro e in Valtiberina toscana (1861-1940)”. Nel 2017 ha curato la mostra e il catalogo “190 anni di Buitoni. 1827-2017” e ha organizzato un ciclo di conferenza con i più autorevoli studiosi universitari della Buitoni di cui ha curato gli atti che sono usciti nel 2021 con il titolo “Il pastificio Buitoni. Sviluppo e declino di un’industria italiana (1827-2017)”. Ha pubblicato oltre cinquanta saggi storici in opere collettive come “Arezzo e la Toscana nel Regno d’Italia (1861-1946)” nel 2011, “La Nostra Storia. Lezioni sulla Storia di Sansepolcro. Età Moderna e Contemporanea” nel 2012, “Ritratti di donne aretine” nel 2015, “190 anni di Buitoni. 1827-2017” nel 2017, “Appunti per la storia della Valcerfone. Vol. II” nel 2017 e in riviste scientifiche come «Pagine Altotiberine», quadrimestrale dell'Associazione storica dell'Alta Valle del Tevere, su «Notizie di Storia», periodico della Società Storica Aretina, su «Annali aretini», rivista della Fraternita del Laici di Arezzo, su «Rassegna Storica Toscana», organo della Società toscana per la storia del Risorgimento, su «Proposte e Ricerche. Economia e società nella storia dell’Italia centrale», rivista delle Università Politecnica delle Marche (Ancona), Università degli Studi di Camerino, Università degli Studi “G. d’Annunzio” (Chieti-Pescara), Università degli Studi di Macerata, Università degli Studi di Perugia, Università degli Studi della Repubblica di San Marino.


Le opinioni espresse in questo articolo sono esclusivamente dell’autore e non coinvolgono in nessun modo la testata per cui collabora.


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