“Giulietta senza Romeo”
Perché mai lasciare la semplice strada intrapresa per cercare una sfida, diversa?
Dal mio nuovo romanzo, in uscita “Giulietta senza Romeo”
“Diverse esperienze mi riportano qui sui miei passi, sulla strada dell’imprevisto, perché mai lasciare la semplice strada intrapresa per cercare una sfida, diversa?”
“è quella sete di vita che non teme mai nulla e spera sempre in se un nuovo senso”
Giulietta.
Mi ricordo delle lezioni di pianoforte che ci impartivano nostro malgrado, lì in quell’orfanotrofio, in quel posto così lontano da un’idea di famiglia, così tutto ostentato e pieno di giudizio. Avevo sette anni, la prima volta che toccai quei tasti, così enormi e bianchi.
Volevo suonarli, volevo sentirli, sembravano così belli inizialmente.
Inizialmente sembra tutto semplice e vivace, invece anche la gioia di poter suonare divenne ben presto il mio incubo peggiore.
Non andavo mai bene, come li toccavo, come stavo seduta, non imparavo velocemente come altre bambine della mia età e che vuoi farci, non ero sveglia, ero una buona a niente, come potevo riuscirci.
Quando andai in quella non famiglia che mi adottò, la mia non mamma e il mio non papà sembravano con me molto dolci.
Poi si sarebbero rivelati veramente.
Come quando prendi un cane.
Si, mi sentivo come il loro nuovo cane da addomesticare, non andavo bene nemmeno per loro, ma del resto quando nasci sbagliata, la vita te lo ricorda da ogni angolazione possibile.
Ero troppo alta, troppo gracile, troppo triste, troppo io, non ero adatta alla vita di quella famiglia per bene, che doveva sfoggiare la loro nuova bambola presa al supermercato dei bambini.
Così, mi comprarono delle scarpe nuove, da bambola di porcellana e dei vestiti bellissimi, anche se io non mi ci sentivo mai bene dentro.
L’unica pecca era il mio viso sempre serio, senza nessun segno di felicità, no, questo non andava affatto bene. Le bambole sorridono sempre, e dicono sempre frasi dolci e affabili come: “ti voglio bene, sei la mamma più bella del mondo, ho fame, mi scappa la pipì”.
Io non dicevo nemmeno una di queste frasi, anzi a volte non dicevo nemmeno che mi scappava la pipì e bagnavo quei bellissimi vestiti, e qualche volta anche il letto.
Avevo nove anni, ma avevo così tanta paura di dire quello che pensavo davvero, che non dicevo più niente, neanche una parola.
Quei non genitori, non mi somigliavano affatto e mi facevano sentire sempre più sbagliata. Anche se a scuola studiavo e leggevo molti libri, non ero mai abbastanza, forse perché avevano avuto già una figlia, i signori Pedemonte, ma era morta in circostanze strane, non avevo capito bene se durante un incidente in casa o in giardino, non volevano mai parlarne.
So solo che aveva 16 anni quando è morta, e mi paragonavano sempre a lei.
Si chiamava Eleonora, era molto simile a me per certi versi, nelle foto che avevano in casa anche lei sembrava sempre molto triste, e seria, non sorrideva quasi mai, tranne in una foto insieme al suo bellissimo cane, un pastore tedesco gigantesco, Frank, anche lui era morto.
In questa casa morivano tutti pensai.
Al mattino, andavo a scuola, ma anche lì non erano rose e fiori.
Un giorno un ragazzo voleva parlarmi, ma io non ne avevo per nulla voglia, preferivo starmene per conto mio, come sempre.
Non voleva arrendersi, così decise di prendermi per la faccia, ed aprirmi la bocca, dicendo: “vediamo se questa stupida trovatella ce l’ha una lingua per parlare!” tutti risero fuori dalla classe, soprattutto le femmine che mi odiavano e non so nemmeno io il motivo.
In fondo non avevo mai fatto male a nessuno, semplicemente li ignoravo, non mi interessavano, nessuno mi interessava.
Forse la vita stessa non aveva nessun senso per me, ma a chi poteva importare?
Così mi tirò fuori la lingua, ma non piansi, ero abituata alle angherie, anzi gli mollai un morso che credo se lo ricorderà per sempre.
Lo vidi sobbalzare indietro, con una faccia stupita e schifata, “Sei una cagna stupida!”, a quel punto mi sentii di dire qualcosa a riguardo, “Ti conviene non avvicinarti più a me, altrimenti questa cagna ti farà a pezzi, non ti morderà soltanto la mano, ti farà a brandelli talmente piccoli che i tuoi genitori dovranno ricomporti come un puzzle nella bara, per poter riconoscere quel misero essere che sei “.
“Tu sei davvero pazza”.
Nessuno si avvicinò più a me.
Allora, che devo fare? Andare all’appuntamento domani, da sola, oppure chiudermi in casa e fare finta che non ci sia nessun appuntamento, bruciare il libro, mangiare le mie caramelle gommose, accendere la tv e buttarmi sul letto.
Sì, mi sembrava un ottimo piano.
Mentre mi accingevo a prendere la sportina, che gentilmente mi aveva lasciato Omero, prima che lo rinchiudessero, insieme alle mie caramelle gommose, uscì quel biglietto, quell’indirizzo era lì.
Era davvero pazzesco e irritante, non volevo più pensarci.
Mi accorsi che non era poi così lontano da casa mia, era proprio nella traversa parallela.
Potevo farci un salto e vedere questo pazzo, lasciargli il libro e dimenticarmi per sempre di questa storia.
Si, finirà così.
Nel dire questo, feci una smorfia di grande determinazione, corrucciando le labbra all’insù e annuendo più volte, in senso di approvazione e grande autostima.
Esco di casa, mi incammino cercando di seguire i numeri civici in ordine decrescente e poi vedo quel portone, era un portone qualsiasi.
Lo guardai ancora un po’ prima di suonare, c’era qualcosa che mi frenava, sapete il sesto senso? Quello che ti dice con voce flebile e circospetta “che cacchio fai Giulietta, sei una stupida a pensare di entrare qui e andartene senza conseguenze, ti succederà sicuramente qualcosa di brutto, e non potrai più tornare indietro”.
Mi voltai e un signore anziano mi distolse da questi pensieri dicendomi “signorina, se non entra non potrà mai saperlo”.
Mi stava forse leggendo nel pensiero? O mamma mia, stavo davvero diventando pazza.
Quell’uomo aprì il portone e mi fece cenno, “Allora entra o non entra?”
Entrai.
L’androne era lugubre, senza luce, il signore si diresse per le scale in alto e sparì dalla mia vista.
Guardai bene il nome e cognome di nuovo e se l’indirizzo fosse quello giusto, c’era scritto secondo piano.
Il suo nome era Traverso Tristano interno 4, sì, e io ero Isotta! Risi da sola per un attimo, che strano nome.
Suonai al campanello con le dita tremanti, quando all’improvviso la porta si aprì e una mano mi afferrò tirandomi dentro con forza.
Mara E.
Nella mia vita ho imparato che spesso scegliere di esporsi e di seguire le proprie passioni, non sempre è facile, ma se questo è davvero quello che vi fa vibrare continuate sempre a fare quello per cui siete davvero nati.
Essere felici.
E come dico sempre, la felicità è una scelta.
Mara Ercolanoni
MARA ERCOLANONI: Nata a Castel del Piano, un piccolo paese nella provincia di Perugia è innamorata della cittadina di Sansepolcro, dove vive con la sua famiglia da ormai 15 anni. Nel 2020 ha pubblicato il suo primo romanzo: "Alla ricerca della Felicità" che racchiude il suo percorso introspettivo e la sua strada verso un’idea di felicità. Ama scrivere da quando aveva 10 anni e crede nella scrittura come forma di terapia. Ha collaborato con la casa editrice Pagine per una raccolta di poesie e con la Onlus la Voce del Cuore con altri percorsi.
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