Crolla un altro mito della moda: i retroscena della crisi di Dsquared2

Scontri legali, licenziamenti, e ristrutturazioni
Per anni è stato il marchio della trasgressione elegante, del denim di lusso, delle passerelle che si trasformavano in party. Oggi, però, su Dsquared2 soffia un vento diverso. Il brand fondato dai gemelli canadesi Dean e Dan Caten sta attraversando una delle fasi più delicate della sua storia. Licenziamenti, scontri legali e ristrutturazioni interne: dietro la facciata patinata, la macchina della moda “rock & sexy” scricchiola.
Dal mito al bivio
Trent’anni fa, i fratelli Caten arrivavano a Milano con una valigia piena di sogni e un’idea precisa: mischiare il gusto nordamericano con l’artigianalità italiana. Ne nacque uno stile unico, fatto di jeans scolpiti, giacche in pelle, ironia e provocazione. Dsquared2 divenne in poco tempo un’icona pop. Lo indossavano Madonna, Britney Spears, Rihanna. Gli show erano performance più che sfilate: luci, musica, corpi, scandalo. Poi qualcosa si è incrinato.
Nel 2025, mentre il marchio celebrava il suo trentennale con la consueta energia scenica, dietro le quinte montava la tensione: un contenzioso milionario con Staff International, l’azienda del gruppo OTB che da decenni curava produzione e distribuzione del brand.
La rottura con Staff International
A marzo, Dsquared2 annuncia la rottura “immediata” del contratto di licenza con Staff International, che sarebbe dovuto durare fino al 2027. Una mossa a sorpresa, motivata da presunte “gravi violazioni contrattuali” da parte del partner veneto. Staff, dal canto suo, ha reagito con un’azione legale, sostenendo che l’accordo resta pienamente valido.
Dietro le formule legali si nasconde un tema più profondo: il controllo del marchio. I fratelli Caten vogliono riprendersi in mano tutto – dalla produzione alla distribuzione – per governare direttamente il futuro del brand. Ma è una scelta costosa e rischiosa, soprattutto in un contesto globale in cui il lusso rallenta e i margini si assottigliano.
Licenziamenti e “sfide complesse”
Poche settimane dopo, arriva un altro colpo. Circa quaranta dipendenti vengono licenziati nella sede milanese, con la motivazione ufficiale di una “ristrutturazione necessaria per affrontare sfide profonde e complesse del mercato”. Un linguaggio aziendale che lascia intendere più di quanto dica. Le vendite non corrono come un tempo, i costi sono aumentati, e l’immagine stessa del brand – costruita su un mix di provocazione e glamour – fatica a rinnovarsi nell’epoca della sostenibilità e dell’inclusività. Oggi, il pubblico chiede autenticità e responsabilità ambientale più che eccessi da passerella.
Un modello da ripensare
Il caso Dsquared2 è emblematico di una tendenza più ampia: la crisi dei marchi indipendenti di fascia alta, schiacciati tra i colossi del lusso (LVMH, Kering, Prada) e i nuovi brand digitali nati sui social. Per anni, i Caten hanno fatto affidamento sul modello classico: sfilate spettacolari, distribuzione wholesale, boutiques esclusive. Ma il mondo è cambiato. Il consumatore under 30 compra online, cerca storie e valori più che loghi. E il brand, nonostante la sua eredità, non sembra ancora aver trovato la chiave per parlare a questa generazione.
Il peso di trent’anni di eccessi
C’è poi un tema di immagine. La stessa estetica che ha fatto grande Dsquared2 – sexy, muscolare, irriverente – oggi rischia di sembrare datata. Mentre altri marchi (da Diesel a Balenciaga) hanno saputo reinventarsi, il duo canadese appare ancorato a un immaginario anni 2000. Eppure, la creatività dei fratelli Caten non è mai mancata. Le ultime collezioni, pur meno travolgenti, restano riconoscibili e tecnicamente impeccabili. Il problema, forse, non è la moda ma il sistema che la sorregge: un equilibrio economico e industriale che si è incrinato.
Il futuro del marchio
Oggi Dsquared2 sta tentando una mossa audace: internalizzare la produzione per ritrovare indipendenza. È una scelta che potrebbe rilanciare il marchio o affossarlo del tutto, a seconda della capacità di gestire la complessità industriale e finanziaria.
Gli esperti del settore parlano di un “rischio calcolato”: se i Caten riusciranno a ridefinire il brand – magari spostandolo verso una nuova sostenibilità creativa e un rapporto più diretto con il pubblico – Dsquared2 potrebbe vivere una seconda giovinezza. Ma se la transizione si rivelerà più costosa del previsto, o se la causa con Staff International dovesse trascinarsi a lungo, il marchio rischia di entrare in una spirale difficile da invertire.
Fine o rinascita?
In fondo, la storia di Dsquared2 è la storia di due outsider che hanno conquistato la moda mondiale partendo da zero. La crisi di oggi non cancella il talento, ma lo mette alla prova. Dean e Dan Caten dovranno dimostrare di saper reinventare non solo i vestiti, ma anche il proprio modello di impresa. Come amano dire nei loro show: “Born in Canada, made in Italy.” Ora resta da capire se potranno aggiungere un nuovo capitolo: “Reborn in crisis.”

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