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Il Centro Nazionale Carabinieri Biodiversità di Pieve Santo Stefano

Un cuore grande per un futuro ambientale certo.
Un mondo incantato, fatto di alchimie naturali e fasi riproduttive. Semi e piante, alcuni talmente piccoli che sembrano polvere. Un cuore grande per un futuro ambientale certo. Tutto questo è il Centro Nazionale Biodiversità dei Carabinieri forestali di Pieve Santo Stefano: uno dei pochi presenti e attivi sul territorio nazionale. Un luogo del tutto particolare dove viene svolta attività di produzione e conservazione dei semi e delle piantine forestali, anche quelli delle specie più rare. Nei laboratori del centro, le specie vegetali più rare e meno conosciute, sono oggetto di specifiche attività di ricerca volte all’individuazione dei fattori limitanti il loro sviluppo (acqua, luce, temperatura, vernalizzazione, scarificazione ecc.), al fine di riconoscere le migliori condizioni per il loro sviluppo e conservazione. Gran parte degli esemplari riprodotti, oltre ad essere conservati presso il Centro, vengono poi reintrodotti nei loro ambienti per soddisfare le necessità di vario tipo. Ad accoglierci e aprire le porte del Centro Nazionale Biodiversità di Pieve Santo Stefano abbiamo trovato il Colonnello Alberto Veracini, figura storica di questo luogo, che ha consentito di compiere – quasi in esclusiva – questo magnifico viaggio nel mondo della natura e della sua riproduzione.
“Ha questo nome ora, mentre prima era il Vivaio Forestale Alto Tevere e successivamente – esattamente dal 2001 – Centro Nazionale per lo Studio e la Conservazione della Biodiversità Forestale. L’attuale denominazione è di fatto derivata dall’ingresso nell’Arma dei Carabinieri dal 2017”. Ci dice il Colonnello Alberto Veracini. “Nasce, però, nel 1956 sicuramente per volere dell’amministrazione forestale indirizzata dall’illustre cittadino nato a Pieve Santo Stefano Amintore Fanfani. Di fatto, Pieve, era l’unico paese d’Italia dove erano presenti due uffici dell’amministrazione forestale: uno che gestiva il territorio con tantissimi ettari, passati poi negli anni ’70 al patrimonio forestale regionale dei quali – a questo ufficio – ne sono rimasti circa 2000; l’altro, invece, era il vivaio che era il più grande d’Italia (pubblico) con allora 17 ettari; insieme a due gemelli, di cui uno effettivamente è poi nato nel Comune di Dolcè al confine tra Veneto e Trentino Alto Adige. L’altro invece, doveva nascere a Bovalino in provincia di Reggio Calabria nel versante ionico dell’Aspromonte, ma non è mai decollato. Servivano a produrre semi e piante per le grandi campagne di rimboschimento che hanno caratterizzato il dopoguerra fino ai primi anni ’80. Principalmente veniva coltivato, come si dice, ‘a radice nuda’ quindi direttamente in terra mentre oggi si coltiva tutto nei vasetti e venivano prodotte dai 2 ai 4 milioni di piante l’anno; una cifra considerevole che, appunto, servivano per queste attività di rimboschimento: in particolare conifere come pini, abeti o cipressi. Sappiamo che il nostro appennino, nelle parti alte, è caratterizzato da grandi superfici rimboschite a pino, ma anche pini mediterranei per le fasce costiere oltre a cipressi e abeti: le abetine di Vallombrosa e di Camaldoli tanto per restare nel circondario. Questa era la finalità essenziale di tali luoghi”. Il Colonnello, però, focalizza le attenzioni anche sulle funzioni di questo luogo ubicato alle porte di Pieve Santo Stefano. “Oggi va avanti questa attività di produzione, diciamo a carattere piuttosto ordinario e classico, di piante forestali: dalla raccolta del seme un po’ in tutto il territorio nazionale, alla produzione e distribuzione delle piante stesse. Non più, ovviamente, in quei numeri anche perché le campagne di rimboschimento come nel dopoguerra non ci sono più, ma comunque si va sempre sull’ordine di produzione di diverse decine di migliaia di piante l’anno. L’attenzione è rivolta molto anche allo studio, alla conservazione e alla riproduzione di alcune specie – non dico in via di estinzione – ma che hanno un interesse dal punto di vista conservazionistico; soprattutto a servizio degli altri reparti Biodiversità d’Italia, sono 28 in totale da Tarvisio a Reggio Calabria, che gestiscono 135 riserve naturali dello Stato; quindi, in collaborazione con i colleghi che ci segnalano le specie che hanno un interesse particolare, noi andiamo sul posto raccogliendo semi o piante che si possono riprodurre per esempio per divisione o cespi, oltre a conservarle nel centro di Pieve Santo Stefano le reintroduciamo in natura. Non è uno studio puro come può fare un’università, ma è sicuramente qualcosa di concreato con ricadute su tutto il territorio. Tale attività è di estrema importanza, tanto più al giorno d’oggi quando si iniziano un po’ a sentire i primi segnali della sofferenza per quello che riguarda i mutamenti climatici. Lo sentiamo tutti i giorni nella nostra pelle quanto quella frase di primo acchito banale, ‘non esistono più le mezze stagioni’, sia invece di grande attualità, perché sappiamo che nel passato il clima non era questo; né in estate e né in inverno. Non c’erano passaggi così repentini, oppure piogge concentrate come arrivano ora. Quello che noi conserviamo a Pieve sono circa 200 quintali di semi, appartenenti ad una 90ina di specie forestali autoctone italiane: rappresentano una riserva che – detto da me, da un forestale – è forse più importante di quella aurea della Banca d’Italia. Semi che costituiscono una riserva strategica che, in caso di grandi sconvolgimenti ambientali, possono essere riutilizzati certamente con il dovuto tempo e le dovute attenzioni: i lingotti d’oro si piantano, ma vi posso assicurare che non radicano”.
LA SITUAZIONE IN VALTIBERINA
“La Valtiberina è caratterizzata nelle parti alte dei crinali, medio collinari ma anche nella fascia di media montagna, dai rimboschimenti fatti nel passato: di pini, principalmente di pino nero, che piano piano stanno evolvendo. Hanno esaurito il loro compito che era quello di preparare e migliorare il terreno per rendergli la fertilità oramai persa per lo sfruttamento o per incendi. Piano piano, quindi, si stanno ricostituendo i boschi di latifoglie. Quelle tipiche sono le due specie di quercia: la roverella che è più adatta ad ambienti caldi e asciutti, il cerro che invece sta a quote più alte insieme con il castagno – altra specie sicuramente importante – mentre nelle parti più alte domina il faggio, essenzialmente nell’Alpe di Catenaia, oppure le parti alte della valle del Tevere. C’è poi tutto un corteggio di altri alberi che sono per esempio i sorbi, i frassini, i salici o i pioppi: c’è una grande variabilità di specie e soprattutto, quello che è poi importante, c’è una grande copertura forestale dal punto di vista idrogeologico per la difesa del terreno che lascia di fatto una certa tranquillità. Indubbiamente il bosco è a difesa delle inondazioni, le leggi più datate parlavano di scoscendimenti e rovine dei terreni. Non parlerei, almeno ad oggi, di specie in estinzione. Si iniziano, però, a vedere i segnali soprattutto per quelle specie che sono state diffuse dall’uomo oltre quelli che sono gli ambienti più favorevoli per il proprio interesse. Il castagno che soffre di due malattie fungine da tanto tempo, che però nelle fasce più basse o nei terreni che non sono adatti – meno acidi e sciolti – riesce più difficilmente a contrastare questi problemi probabilmente anche a causa del clima che cambia. Un’altra specie, per esempio, è il ciliegio: ovviamente sono stati diffusi vari tipi di ciliegio, ma di fatto il ciliegio è una pianta che sta quasi in montagna. Da noi sta intorno ai 700 metri sul livello del mare, nelle pianure inizia a soffrire”.
IL RAPPORTO MILITARE-CIVILE
All’interno del Centro Nazionale di Biodiversità di Pieve Santo Stefano, inoltre, operano insieme militari e civili con differenti mansioni ma che spesso tendono ad incrociarsi nel segno della collaborazione. “Intanto specifico che gli operai, 31 in totale, sono forestali assunti con un contratto di natura privatistica – puntualizza il Colonnello Veracini – di fatto sono dipendenti dell’amministrazione, quindi non sono società o cooperative esterne, mentre i militari sono 8. Pur nell’indirizzo delle diverse specificità e professionalità il lavoro all’interno del Centro viene svolto in completa sinergia: chiaro che i lavori più manuali, quelli più pratici li va a svolgere l’operaio che ha quella specifica mansione; però si lavora di concerto, direi in simbiosi. Gli obiettivi vengono definiti e discussi insieme, trovando sempre le migliori strategie: non solo per quello che riguarda la produzione delle piante, ma anche per l’intera gestione di un complesso come questo che ha tanti aspetti di tecnologia e di meccanica. Spesso c’è anche uno scambio di mano tra colui che è il ‘civile’ e il militare, soprattutto quando si va fuori nelle varie attività di divulgazione, di educazione ambientale oppure quando capitano fiere come per esempio lo stand ad Euroflora a Genova di quest’anno. Quotidianamente, poi, ci rapportiamo strettamente con il territorio, ma vorremmo che questo rapporto sia ancora più stretto: ci sono tutta una serie di iniziative, continue direi, che ci portano ad essere presenti. Sia per la fornitura di piante attraverso vari progetti, che nelle scuole con molti incontri sull’educazione ambientale nei confronti dei ragazzi; il 21 novembre, per esempio, forniremo le piante - e dove possibile saremo presenti - per la Festa dell’Albero. Al Comune di Pieve Santo Stefano, inoltre, forniamo le piante per l’albero da piantare in occasione di una nuova nascita, la Diocesi di Città di Castello ci ha recentemente chiamato perché vuole lasciare un segno per il Giubileo quindi pianteremo una 15ina di piante nel giardino del Parco di Riosecco mentre il Comune tifernate ha interpellato il nostro centro per ripristinare la copertura arborea al canile consortile per poter fare ombra agli animali”.
LA CONSERVAZIONE DEI SEMI
“A seconda della specie, i semi possono avere delle esigenze e dei trattamenti differenti. Ce ne sono alcuni che vanno raccolti e subito seminati: per esempio salici, pioppi oppure gli olmi che non si conservano. Altre, invece, solamente per pochi mesi e sono i semi più grossi e più ricchi di amidi, di zuccheri e acqua come le ghiande e le castagne o le faggiole. Diversamente vengono portati ad un certo grado di umidità piuttosto basso, inferiore al 10% genericamente seppure poi ogni specie ha la sua caratteristica, e vengono conservate in delle celle frigorifere dove mantengono la loro vitalità; per alcuni casi anche per molti anni. Al momento opportuno, dove richiesto o necessario, prima i semi e poi le piante vengono reimmesse in natura. Attualmente abbiamo due grandi clienti: uno è il Pnrr per una convenzione che l’Arma dei Carabinieri ha fatto con il Ministero dell’Ambiente; dal 2022 stiamo producendo le piante per quella misura della cosiddetta ‘forestazione urbana’ per le città metropolitane e per questo abbiamo prodotto diverse decine di migliaia di piante. L’altro, invece, è la Snam: da quando è stato realizzato il nuovo metanodotto da Rimini a Sansepolcro siamo stati contattati da questa azienda per la fornitura di piante per i ripristini là dove le tubazioni sono passate attraverso i boschi. Stessa cosa per quello che attraversa la valle del Savio e ci sarà poi anche quello che arriva da Sestino. Sono quelle situazioni ad obiettivo definito, per il resto produciamo più o meno sapendo quali e quante specie servono: ad oggi, però, di campagne di rimboschimento se ne parla ben poco anche nelle zone interessate da incendi”.
OBIETTIVO FAR CONOSCERE IL CENTRO
“Far conoscere il Centro Nazionale di Biodiversità di Pieve Santo Stefano è sicuramente importante, ma non certo per vantarsi di quello che facciamo. Io dico sempre che il genere umano non è un qualcosa di staccato dall’ambiente naturale, bensì parte integrante. Per tanti aspetti lo stiamo maltrattando, non voglio dire distruggendo: nella Valtiberina fortunatamente troviamo ancora un ambiente buono e ricco di boschi, ma in tanti altri posti la situazione è completamente differente. L’ambiente e la natura, quindi, sono la nostra casa: e se la nostra casa la demoliamo standoci dentro, non penso sia una cosa molto intelligente. Far capire tutto questo è importante, anche negli aspetti che possono sembrare i più banali. Pensiamo che ogni piccola foglia o filo d’erba è un fantastico laboratorio chimico che l’uomo non è ancora riuscito a imitare”.

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