Opinionisti Claudio Cherubini

Le due Irlande: unione possibile in nome della Brexit?

Contrariamente a quanto si possa pensare le origini delle prime popolazioni irlandesi sono iberiche

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Manca un mese al 31 ottobre, data dell’uscita della Gran Bretagna dall’Unione Europea, e il ritorno di una frontiera “rigida” fra l’Irlanda del Nord e la Repubblica irlandese sembra ormai una conseguenza inevitabile che mette incertezza alla debole economia dell’Irlanda del Nord e tanti dubbi sulla libera circolazione delle persone tra le due Irlande. Gli irlandesi considerano la Brexit senza accordo l’ennesimo abuso del potere britannico sull’isola di smeraldo. La deputata europea del Sinn Féin, partito indipendentista irlandese, ha dichiarato che imporre il confine è un’offesa a tutti gli irlandesi e molti di loro credono che la politica del governo di Londra sia contro i repubblicani e che questi devono resistere all’oppressione inglese, oggi come nei secoli passati. Crescono le preoccupazioni della polizia inglese di fronte alle inevitabili proteste e azioni  di caos  che si verranno a creare sul confine. Infatti hanno ripreso forza le minacce dei gruppi terroristici paramilitari e le imboscate contro la polizia soprattutto nelle zone del confine tra Irlanda del Nord e Repubblica d’Irlanda (l’ultimo attentato è del 19 agosto).

Per capire meglio quello che sta accadendo e le problematiche della Brexit in questa regione del Regno Unito, sintetizziamo una breve storia dell’Irlanda e delle origini del terrorismo irlandese.

L’Irlanda è una piccola isola dell’Arcipelago britannico di neppure 100 mila chilometri quadrati e su di essa vivono poco più di 6 milioni e mezzo di abitanti. Una delle sue regioni è l’Ulster, l’Irlanda del Nord, che copre una superficie di circa 14 mila chilometri con una popolazione in continua crescita che ha di poco superato il milione e 800 mila unità. Una popolazione alla ricerca di libertà e di identità.

Contrariamente a quanto si possa pensare le origini delle prime popolazioni irlandesi sono iberiche anche se già nell’età del bronzo (500-600 a.C.) iniziò l’invasione dei Celti o Gaeli che ne determinò nel tempo la ripartizione amministrativa in cinque regni fra cui quello posto a nord chiamato Ulster. I Romani non la conquistarono mai, mentre arrivarono gli evangelizzatori della chiesa cattolica, numerosi missionari che impiantarono nei primi secoli dell’era cristiana una organizzazione fondata sui monasteri benedettini invece che sulle parrocchie e diocesi come in Europa e amalgamarono i rituali druidici con quelli cristiani. Poi arrivarono le genti del Nord (chiamate Danesi, i vichinghi), ma i veri aggressori furono gli inglesi che giunsero con l’invasione normanna del 1169. Le differenze nell’organizzazione sociale, la diversa lingua, ma soprattutto l’avidità dei conquistatori portò alla divisione dei due popoli sancita nel 1367 dagli statuti di Kilkenny in cui il re Edoardo III divideva la popolazione in tre gruppi: Inglesi puri, Inglesi degenerati (cioè infedeli al re) e nemici irlandesi. Ancor peggio accadde nel 1541 quando Enrico VIII si proclamò re d’Irlanda e introdusse la riforma protestante e quando, cinquant’anni dopo, iniziò l’opera di colonizzazione ad opera degli scozzesi presbiteriani la divisione si trasformò in una guerra civile a cui mise fine Cromwell con una lotta brutale e spietata che si concluse nel 1652 togliendo agli irlandesi ribelli i due terzi delle proprietà terriere. Molto in sintesi queste sono le origini delle lotte che da allora ad oggi si sono susseguite in Irlanda contro il potere della Corona inglese. Lotte che portarono l’Inghilterra a sopprimere il parlamento locale il 7 giugno 1800, a costringere gli irlandesi a eleggere soltanto deputati protestanti e a pagare decime alla Chiesa di Stato, quella inglese protestante.

La reazione fu che nel corso dell’Ottocento si formarono movimenti politici che spostarono la lotta dal piano religioso a quello sociale e, nonostante qualche concessione inglese, nel 1842 si costituì il movimento rivoluzionario Young Ireland’ Party, nel 1858 comparve il movimento terroristico Fenians e nel 1879 il movimento dell’Home Rule per l’autonomia della regione. Nel 1913 gli Inglesi approvarono l’Home Rule e questo fu motivo di protesta nell’Irlanda del Nord perché la popolazione di religione protestante riteneva di essere sopraffatta dalla maggioranza cattolica; quando poi nel 1916 l’Home Rule fu sospeso a causa della guerra mondiale ciò provocò la sanguinosa rivolta di Dublino il giorno di Pasqua del 1916. La reazione inglese, ancora una volta violenta, determinò un cambiamento nell’opinione pubblica e crebbe notevolmente il consenso verso i repubblicani. Alle elezioni politiche del 1918 i repubblicani dello Sinn Féin conquistarono la maggioranza assoluta dei seggi e, invece che insediarsi nel parlamento di Londra, nel 1919 proclamarono l’indipendenza dell’Irlanda formando la prima Dáil Éireann (camera bassa del parlamento) e costituendo l’Irish Republican Army (IRA) autorizzata ad attaccare le truppe britanniche presenti nel paese. La guerra per l’indipendenza durò due anni e mezzo con atti di guerriglia da parte dell’IRA e atti di efferatezza dell’esercito inglese.

Nel 1921 fu raggiunto un accordo con l’Inghilterra che tenne legate sotto la Corona le sei contee dell’Ulster. Qui la maggioranza della popolazione era protestante, ma soprattutto l’Irlanda del Nord era la regione più ricca dell’isola con Belfast che era un importante porto per i traffici con la Gran Bretagna. Un accordo che provocò una guerra civile a causa della divisione geografica tra le due Irlande perché c’era chi lo vedeva come un passo verso l’indipendenza di tutta l’isola e chi come un tradimento agli ideali repubblicani e una resa verso la Corona britannica. Vinsero i favorevoli al trattato, ma la parte sconfitta non era doma e nel 1932 vinse le elezioni.

La nuova Repubblica d’Irlanda restò neutrale nella seconda guerra mondiale e progressivamente sciolse ogni legame politico ed economico con lo stato britannico e si aprì verso le nuove organizzazioni internazionali del mondo occidentale (Nazioni Unite, Mercato Comune, ecc.). In pratica con l’uscita dal Commonwealth, è il 1948 che sancisce dopo otto secoli l’indipendenza irlandese dalla Corona inglese.

Tutto ciò però non placò l’idea, condivisa ancora oggi dalla maggior parte degli irlandesi, che l’Irlanda è unica e che non ha senso un luogo dell’isola diviso dal resto del paese. Inoltre i governi dell’Irlanda del Nord dal 1922 al 1972 privarono la minoranza cattolica (circa il 40% della popolazione) di qualsiasi potere, ledendo in maniera palese gli interessi e i diritti dei cattolici. C’è chi ha denunciato questa situazione parlando di uno stato di apartheid nell’Irlanda del Nord.

Dal 1955 riprese l’attività terroristica dell’IRA e, nonostante i tentativi politici di conciliazione tra Repubblica d’Irlanda e Regno della Gran Bretagna, da parte del governo di Londra si attuò una linea dura contro l’IRA e il terrorismo fino a inviare truppe inglesi in Ulster nel 1969 che acuirono le azioni terroristiche senza trovare soluzioni. Di fatto furono nuovamente le reazioni sproporzionate e violente dell’esercito inglese a dare nuova forza all’IRA che dichiarò di nuovo guerra alla Gran Bretagna dopo l’uccisione di 13 civili a Derry da parte dei soldati inglese il 30 gennaio 1972 (Bloody Sunday). Il terrorismo irlandese arrivò a colpire anche in territorio britannico, uccidendo anche vittime innocenti. L’apice fu raggiunto quando nel 1981 un gruppo di repubblicani detenuti nelle carceri dell’Irlanda del Nord  iniziò lo sciopero della fame ad oltranza per rivendicare il proprio status di detenuti politici. Il primo a lasciarsi morire dopo 66 giorni di digiuno fu Bobby Sands, aveva 27 anni. Una nazione civile come la Gran Bretagna aveva permesso che un suo prigioniero, per di più membro del parlamento, morisse di inedia. Seguì la morte di altri detenuti: sette giorni dopo, il 12 maggio morì Francis Hughes, il 21 maggio morirono Raymond McCreesh e Patsy O’Hara. A loro si sostituirono altri detenuti e l’8 luglio morì Joe McDonnel, poi il 13 luglio Martin Hurson, il 1° agosto Kevin Lynch, il giorno dopo Kieran Doherty, l’8 agosto Thomas McElwee, il 20 agosto Mickey Devine. La strage fu interrotta dai familiari che sempre più numerosi autorizzarono l’intervento medico quando il congiunto entrava in coma. Questa manifestazione non violenta fece crescere la consapevolezza dell’opinione pubblica sul dramma irlandese e fece capire ai repubblicani di dover puntare più a una lotta politica che a quella armata. Si arrivò così all’accordo del Venerdì Santo del 1998 (Good Friday Agreement) che definiva le relazioni tra Irlanda e Regno Unito soprattutto in materia di sovranità, diritti civili, armamenti e giustizia.

Anche se certi risentimenti ancestrali sono duri a morire, iniziò comunque un nuovo periodo di pace perché nella società civile era in atto un profondo cambiamento grazie al fatto che in realtà si stavano superando le ingiustizie sociali discriminatorie e che si stava diffondendosi il benessere economico arrivato grazie ai finanziamenti dell’Unione Europea ben spesi dal governo di Dublino. Negli anni Novanta la Repubblica irlandese si trasformò da una delle nazioni più povere d’Europa a una delle più ricche grazie agli investimenti in strutture sanitarie e scolastiche e alle agevolazioni fiscali che attirarono investimenti stranieri. Anche la recessione economica di inizio millennio e la crisi finanziaria del 2008 è stata nuovamente e brillantemente superata con gli aiuti del Fondo Monetario Internazionale e dell’Unione Europea.

Oggi a rimettere tutto in discussione c’è la Brexit. Ancora una volta è il governo di Londra a destabilizzare una situazione con un imprudente referendum sull’uscita del Regno Unito dall’Europa. Gli stretti rapporti commerciali tra Repubblica di Irlanda e Gran Bretagna subiranno certamente una contrazione degli affari, ma a patire di più sarà ancora una volta l’Irlanda del Nord. L’ansia di fronte a ciò che sarà lo scenario post-Brexit con la ricomparsa di un confine fisico tra Regno Unito e Unione Europea e quindi tra le due Irlande, la paura di un rafforzamento del potere di Londra sull’Ulster riaccendono in qualcuno quei fuochi che covano sotto la cenere, mai sopiti dopo l’Accordo del Venerdì Santo. Così il 2019 si è aperto con due atti terroristici della Nuova IRA non a caso in due date simbolo della storia dell’indipendenza irlandese. Un’autobomba è esplosa nel centro di Derry (Londonderry per gli inglesi dell’Ulster) il 19 gennaio: cento anni prima, il 21 gennaio 1919, iniziarono le ostilità per la guerra d’indipendenza a Soloheadbeg, nella contea di Tipperary, con l’uccisione di due poliziotti. Alla vigilia del Venerdì Santo del 2019 la Nuova IRA in un attacco a poliziotti inglesi, uccide per errore la giornalista Lyra McKee “morta tragicamente mentre si trovava a fianco delle forze nemiche”, riporta un comunicato di rivendicazione e scuse ai familiari. Dall’altra parte, i lealisti inglesi temono che qualsiasi concessione o accordo sul confine possa significare un distacco dalla madrepatria e ciò potrebbe generare una qualche reazione dei gruppi armati paramilitari lealisti ancora numerosi in Irlanda del Nord.

Tuttavia è soltanto una questione di tempo perché il destino dell’Irlanda del Nord è quello di unirsi alla Repubblica irlandese. E’ un processo di unificazione da gestire bene politicamente per evitare nuovi scenari di violenze. Si dovranno garantire le differenze e le identità delle culture presenti nell’Irlanda del Nord sia quelle inglesi che irlandesi, sia quelle cattoliche che protestanti. Intanto nell’Ulster sta crescendo la componente cattolica nazionalista e il numero di bambini con educazione cattolica è in aumento di anno in anno. Se è vero che metà della popolazione dell’Irlanda del Nord non simpatizza né per Londra né per Dublino è anche vero che il 56% della popolazione nel referendum sulla Brexit votò il remain nell’UE. Questi dati di partenza e il ricambio generazionale in atto spingono verso l’unificazione delle due Irlande. Inoltre né Gran Bretagna né Unione Europea potrebbero opporsi alla richiesta dei cittadini dell’Ulster di unificarsi con la Repubblica irlandese. Sarà un modo per superare la paura della Brexit e rientrare così in Europa. 

Claudio Cherubini
© Riproduzione riservata
30/09/2019 15:32:28

Claudio Cherubini

Imprenditore e storico locale dell’economia del XIX e XX secolo - Fin dal 1978 collabora con vari periodici locali. Ha tenuto diverse conferenze su temi di storia locale e lezioni all’Università dell’Età Libera di Sansepolcro. Ha pubblicato due libri: nel 2003 “Terra d’imprenditori. Appunti di storia economica della Valtiberina toscana preindustriale” e nel 2016 “Una storia in disparte. Il lavoro delle donne e la prima industrializzazione a Sansepolcro e in Valtiberina toscana (1861-1940)”. Nel 2017 ha curato la mostra e il catalogo “190 anni di Buitoni. 1827-2017” e ha organizzato un ciclo di conferenza con i più autorevoli studiosi universitari della Buitoni di cui ha curato gli atti che sono usciti nel 2021 con il titolo “Il pastificio Buitoni. Sviluppo e declino di un’industria italiana (1827-2017)”. Ha pubblicato oltre cinquanta saggi storici in opere collettive come “Arezzo e la Toscana nel Regno d’Italia (1861-1946)” nel 2011, “La Nostra Storia. Lezioni sulla Storia di Sansepolcro. Età Moderna e Contemporanea” nel 2012, “Ritratti di donne aretine” nel 2015, “190 anni di Buitoni. 1827-2017” nel 2017, “Appunti per la storia della Valcerfone. Vol. II” nel 2017 e in riviste scientifiche come «Pagine Altotiberine», quadrimestrale dell'Associazione storica dell'Alta Valle del Tevere, su «Notizie di Storia», periodico della Società Storica Aretina, su «Annali aretini», rivista della Fraternita del Laici di Arezzo, su «Rassegna Storica Toscana», organo della Società toscana per la storia del Risorgimento, su «Proposte e Ricerche. Economia e società nella storia dell’Italia centrale», rivista delle Università Politecnica delle Marche (Ancona), Università degli Studi di Camerino, Università degli Studi “G. d’Annunzio” (Chieti-Pescara), Università degli Studi di Macerata, Università degli Studi di Perugia, Università degli Studi della Repubblica di San Marino.


Le opinioni espresse in questo articolo sono esclusivamente dell’autore e non coinvolgono in nessun modo la testata per cui collabora.


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