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Francesco Panerai, un ‘Citto del Borgo’ con la carriera aerospaziale

Risiede negli Stati Uniti ed è docente di ingegneria aerospaziale all’Università dell’Illinois

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Francesco Panerai si definisce “Un citto del Borgo”. Nato ad Arezzo e cresciuto a Sansepolcro. Ingegnere meccanico per formazione, docente per professione, scienziato (allo sbaraglio) per vocazione, studente a vita, cuoco e viaggiatore per passione. Risiede negli Stati Uniti ed è docente di ingegneria aerospaziale all’Università dell’Illinois. Insegna aerodinamica ipersonica e conduce ricerche su materiali e fluidi in ambienti estremi, come il volo ad alta velocità. Attualmente gestisce un gruppo di circa quindici ricercatori, mentre sul futuro non si sbilancia molto: certo è che l’Italia, la Toscana e la sua Valtiberina gli manca molto.

·        Dove ti trovi in questo momento e di cosa di occupi?

“Attualmente risiedo negli Stati Uniti, nel Midwest (che è un po’ come dire “nel mezzo del nulla”), due ore a sud di Chicago. Sono docente di ingegneria aerospaziale all’Università dell’Illinois, dove insegno aerodinamica ipersonica e conduco ricerche su materiali e fluidi in ambienti estremi, come il volo ad alta velocità e il rientro di veicoli spaziali in atmosfera. In questi ambienti, gli effetti di aerodinamica, chimica e scienza dei materiali si combinano nel generare condizioni estremamente aggressive, che richiedono l’uso di tecnologie avanzate. Il mio gruppo di ricerca svolge esperimenti per comprendere le interazioni tra materiali e plasmi ad alte temperature. I dati derivanti dalla nostra ricerca vengono utilizzati sia da agenzie governative che dall’industria aerospaziale americana per lo sviluppo di sistemi di esplorazione spaziale e per la sicurezza nazionale”.

·        Quali sono state le principali tappe del tuo percorso dall’Italia agli Stati Uniti?

“È stato un percorso interessante, a volte molto inaspettato e quasi mai pianificato. Ci sono state comunque due tappe principali. La prima è stata la formazione in Italia. Gli studi al Liceo Città di Piero e alla Facoltà di Ingegneria dell’Università degli Studi di Perugia mi hanno fornito i pilastri fondamentali del mio percorso attuale. Si dà spesso per scontata la qualità delle scuole della nostra zona, ma la preparazione che ho ricevuto sia a Sansepolcro che a Perugia è un bagaglio (molto utile) che mi porto dietro ogni giorno. La seconda tappa è stato il periodo trascorso in Belgio dal 2006 al 2012. Vivevo a Bruxelles, forse nel periodo di massimo sviluppo della città e delle istituzioni europee che ospita, in un ambiente molto stimolante. Lavoravo presso il von Karman Institute, o VKI come lo chiamiamo comunemente, un centro di eccellenza nella meccanica dei fluidi, dove ho intrapreso prima un master e poi gli studi di dottorato. È lì che ho ricevuto la mia formazione in aeronautica e ho iniziato studi e ricerche nel campo aerospaziale. E per puro caso. Quando sono arrivato nel 2006, grazie a un contatto del professor Gianluca Rossi, il mio relatore di tesi a Perugia, avrei dovuto svolgere un progetto sullo sviluppo di tecniche di misura per turbine, che venne cancellato il giorno del mio arrivo. Fu così che venni ri-assegnato casualmente a un progetto nel dipartimento di aeronautica per studiare plasmi reattivi ad alta temperatura. Da lì non ho più lasciato gli studi aerospaziali. Gli anni a Bruxelles sono stati molto intensi, sia sotto l’aspetto professionale che personale. Ho formato splendide amicizie che ancora mantengo, e durante il master nel 2008 ho avuto la fortuna di conoscere una splendida spagnola di nome Laura, che da allora è la mia compagna di vita. Durante gli anni al VKI ho costruito una fitta rete di collaboratori internazionali, tra cui diversi colleghi americani. È proprio grazie a loro che nel 2012 ho ricevuto l’opportunità di spostarmi alla NASA in California. In un percorso così imprevisto, e in tanto girovagare, c’è sempre e comunque stata un’unica sicurezza: mia mamma. Le devo tutto, mi ha sempre appoggiato incondizionatamente, mi ha lasciato tutta la libertà possibile di crescere ed esplorare, e soprattutto, anche se siamo a un oceano di distanza, mi è sempre stata vicina in ogni passo”.

·        Aspetti negativi e positivi della vita quotidiana e professionale oltre Oceano?

“Parto dalla vita professionale, il cui aspetto più positivo è sicuramente quanto sia stimolante. Lo ripeto quotidianamente ai miei studenti: la professione accademica è una delle pochissime in cui si è pagati per esercitare libertà di pensiero e per esplorare ciò che più ci appassiona. È un privilegio non indifferente. Allo stesso tempo si tratta di un lavoro molto stressante, soprattutto negli Stati Uniti. C’è tanta competitività e pressione che non tutti sono in grado di reggere. La vita quotidiana oltre Oceano è centrata su lavoro e famiglia, molto più individualista rispetto a quella italiana. È sicuramente uno degli aspetti a cui faccio più fatica ad abituarmi. L’area dove mi trovo è particolarmente isolata e tutto ruota attorno all’università. Scherzando con qualche collega europeo, ci diciamo spesso che è uno dei posti migliori per gestire un’università e fare ricerca, visto che ci sono davvero poche distrazioni. In realtà, poi, ci sono diversi aspetti positivi: è un posto molto sicuro, con numerose opportunità, dove vivere è molto facile, le cose funzionano, il costo della vita è molto conveniente e molto altro”.

·        Che ricordo ha delle parentesi lavorativa all’interno della NASA?

“È stata una delle esperienze più gratificanti che abbia avuto dal punto di vista professionale. Ho trovato colleghi fantastici, con cui rimango tuttora in contatto. Ho avuto un mentore, il dottor Nagi Mansour, un gigante nel campo della meccanica dei fluidi e dell’eliofisica, che mi ha permesso di crescere moltissimo, soprattutto in termini di visione scientifica, ed a cui sono infinitamente riconoscente. Al di là delle opportunità di lavorare su progetti molto interessanti, la lezione che più mi rimane dall’esperienza alla NASA è la consapevolezza che non ci sono sfide tecniche insormontabili se si affrontano con un team di ingegneri altamente qualificati che operano in concerto. Ad oggi rimango molto legato al centro in California dove ho lavorato. Gli studenti del mio gruppo di ricerca di solito ci passano mesi in estate come stagisti ed è un’esperienza di valore inestimabile per la loro crescita professionale. Un altro aspetto che voglio ricordare della parentesi californiana è stata la vita quotidiana nella Silicon Valley, un posto incredibile, dove il futuro tecnologico viene creato e formato”.

·        Quanto ti manca l’Italia, la Toscana e la Valtiberina?

“Moltissimo! Non so nemmeno da dove cominciare. Mi mancano il cibo, la colazione al bar, il bidet, il pane toscano, le salsicce sott’olio, le “schisce”, i prugnoli, la cultura da cui siamo circondati: nascendo in Italia, e soprattutto in Toscana, si respira arte e bellezza fin da piccoli, e non ci rendiamo conto finché non ce ne allontaniamo e ci viene a mancare. In generale, quello che più mi manca è difficile da definire, ma penso sia proprio “la bella vita” che solo chi è italiano comprende davvero. Della Valtiberina, mi mancano soprattutto gli amici, a cui rimango molto legato, e ogni sei mesi o giù di lì non vedo l’ora di tornare a visitarli. Ci sono poi anche cose che non mi mancano dell’Italia, la politica su tutte”.

·        Perché secondo Lei la fuga di cervelli dall’Italia avviene con sempre più maggiore frequenza?

“Si tratta di un tema molto complesso che meriterebbe una discussione più profonda. Mi limito a tre considerazioni. La prima è che non so se ci sia una vera e propria fuga di cervelli. Forse i veri cervelli sono proprio quelli che hanno il coraggio di rimanere in Italia, e che sono in grado di creare innovazione ed eccellenza in scienza, tecnologia e altri settori, con risorse molto più limitate di quelle che si hanno a disposizione all’estero. La seconda considerazione, più pragmatica, è proprio quella delle risorse. In Italia serve investire di più in ricerca, aumentare non solo i fondi, ma anche la tolleranza al rischio, e retribuire meglio. Infine, tra i moltissimi che si sono trasferiti all’estero con cui ho avuto contatti e, nel corso degli anni, tante conversazioni nostalgiche sul nostro Paese, l’aspetto fondamentale che più emerge è quello della meritocrazia: nel sistema Italia ce n’è bisogno, è imperativo riconoscere l’eccellenza, le conoscenze e le competenze”.

·        Lei vive degli Stati Uniti ed è stato recentemente eletto un Papa di origine americana: come ha vissuto questo momento e come lo hanno vissuto di americani?

“Ho seguito poco la vicenda, ma è stata un’elezione inaspettata. Il campus dove lavoro, in quanto principale centro universitario dello stato dell’Illinois, ospita numerosi studenti dall’area di Chicago. Leone XIV è proprio originario della zona sud di Chicago, una realtà particolarmente difficile, molto differente dalla tipica percezione di benessere delle grandi città americane. C’è stata molta frenesia ed eccitazione in università al momento dell’annuncio. A parte questo, è presto per giudicare, ci vorrà ancora del tempo per capire realmente che Papa sarà, ma è certo che, come sempre, la Chiesa ha una capacità unica di sorprendere. Sarà molto interessante anche osservare come evolveranno le dinamiche e i rapporti tra il nuovo Papa e l’attuale amministrazione americana”.

·        Le piacerebbe un giorno tornare a lavorare in Italia?

“Ci penso spesso. Non so se ci tornerò mai a lavorare, dipende molto dalle circostanze professionali e personali. Ma se si presentasse l’occasione giusta, mai dire mai. Di sicuro, anche se è ancora molto lontana, durante la pensione passerò molto tempo in Italia”.

·        Quali sono i suoi progetti per il futuro?

“Confesso che sono veramente poco organizzato nel pianificare per il futuro. Vivo molto nel presente e pianifico soprattutto a breve termine, quindi è difficile fare previsioni. Poi c’è il “problema dei due corpi” che influisce su progetti e decisioni future. Attualmente gestisco un gruppo di circa quindici ricercatori e il mio obiettivo principale è assicurarmi che prosperino e abbiano le migliori opportunità possibili per svolgere ricerca. Come ho già avuto modo di ribadire, la professione accademica è molto appagante, quindi, a parte la location, non vedo cambiamenti radicali a medio termine. Sia Laura che io abbiamo in mente un sabbatico nei prossimi due anni, durante il quale mi piacerebbe esplorare altri campi di ricerca al dì fuori del settore aerospaziale, ma per scaramanzia preferisco non rivelarli. A lungo termine, vorrei dedicarmi di più a viaggiare, che rimane una delle mie grandi passioni: la lista dei posti incredibili da visitare è ancora lunghissima!”.

Davide Gambacci

Notizia e foto tratte dal periodico l'eco del tevere
© Riproduzione riservata
29/06/2025 12:30:57


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