La guerra e’ un delitto
La si continua a usare perché ci ostiniamo a finanziarla
Abbiamo armato i curdi per sconfiggere una famigerata organizzazione terroristica, chiamata in modo sospetto e quanto meno equivoco, con un acronimo inglese, ISIS, che ha imperversato in Oriente e in Europa per vari anni, con mezzi e armi costruiti nello stesso Occidente dove poi avvenivano molti attentati.
La stessa organizzazione ha ucciso nei suoi attentati una moltitudine di persone di varie etnie e religioni. Nel 95% dei casi, musulmani, persone normali che vivevano la loro fede magari accanto a gente che pregavano un altro Dio.
Poi, quando tutto si sembrava calmato, abbiamo permesso, sì con qualche protesta per lo più di gente comune, che un paese appartenente alla Nato come la Turchia, attaccasse quanti si erano sacrificati per bloccare l’avanzata del terrore, ricacciandoli dentro la Siria, per avere libero un lembo di terra neutro, dove poter mettere un po’ di avanzi di umanità. L’intera operazione, anche con elicotteri di fabbricazione italiana, è stata chiamata “sorgente di pace”.
In tutto questo, in tutta questa sopraffazione di verità, d’incoerenza, di squallido pragmatismo e di certa disumanità, c’è la sintesi di ciò che chiamiamo guerra. Uno strumento antico per risolvere i conflitti, che però ha manifestato nei secoli la sua inefficacia e crudeltà. Tutti si ostinano a volere la pace, dichiarano di auspicarla. Ci crediamo, ma il mezzo che usano inquina ciò che riesce a raggiungere. Una pace malefica piena di morte che creerà ulteriore terrorismo e violenza in quanti l’hanno subita, per lo più donne e bambini stremati dalle guerre precedenti, non serve a nessuno.
La guerra è inutile e dannosa, è aliena alla ragione umana, per dirla con l’espressione usata nel 1963 da Giovanni XXIII, però la si continua a usare perché ci ostiniamo a finanziarla attraverso eserciti e visioni politiche ristrette. Perché fa guadagnare qualcuno, fa lavorare qualcun altro, fa diventare potente chi rimane.
C’è bisogno di qualcosa d’altro: inutile commemorare i caduti delle guerre se non ci ricordiamo del perché siano caduti. C’è bisogno di nonviolenza, di quello che Aldo Capitini chiamava il varco attuale della storia. C’è bisogno di studiare la nonviolenza, di sapere di cosa si tratta, di come funziona. La nonviolenza non è un irenico volersi bene e parlare. La nonviolenza è battaglia, lotta, combattimento: ma tutto questo rivolto contro la rabbia, non per favorirla. Nella piramide della nonviolenza troviamo i corpi di polizia internazionale, che vedono nel nemico un elemento congiunturale e non strutturale. C’è bisogno di un’ONU riformata che non debba chiedere il permesso per entrare nei vari stati dove esistono conflitti. C’è bisogno di una nuova politica estera europea, che possa dire la sua con voce univoca e precisa. Se tutto questo fosse previsto e realizzato, potremmo cominciare con opere di mediazione tra i contendenti, mentre eserciti sovranazionali, per dirla con Bobbio, con politiche di polizia potrebbero proteggere popolazioni o piccoli gruppi di minoranze minacciate. C’è bisogno di spendere meno sulla guerra, di guadagnare meno con le armi e di investire di più su politiche nonviolente. Nell’ultimo anno il mondo ha speso 1800 miliardi di dollari in armi, soltanto 2 su metodologie nonviolente. E’ tutto questo che dovrebbe farci capire perché nel 2018 abbiamo raggiunto la cifra record di 71 milioni di rifugiati nel mondo.
Se pensiamo che cambiare rotta sia utopico, non lamentiamoci se intere parti della popolazione mondiale si spostano per sfuggire ai frutti delle nostre politiche, ritenute sagge solo da quanti non le vivono sulla loro pelle.
Leonardo Magnani
Leonardo Magnani è nato e vive a Sansepolcro. E’ laureato in filosofia e in scienze religiose. Insegnante di professione, da anni collabora con l’Associazione Cultura della Pace e si interessa di mediazione dei conflitti e di nonviolenza.
Le opinioni espresse in questo articolo sono esclusivamente dell’autore e non coinvolgono in nessun modo la testata per cui collabora.
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