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Mafia, il boss Graviano: “Messaggio a Berlusconi per ricordargli di rispettare i patti”

L’esponente di Cosa Nostra lo ha tirato in ballo: «Ha tradito anche Dell’Utri»

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Faranno sicuramente discutere per parole del bosso mafioso, Giuseppe Graviano, che questa mattina ha deposto in videoconferenza al processo sulla ‘ndrangheta stragista in corso davanti alla Corte d'assise di Reggio Calabria. Soprattutto le dichiarazioni su Silvio Berlusconi, che secondo l’esponente di Cosa Nostra, avrebbe «tradito anche Dell’Utri». Secondo la ricostruzione, nell'aprile 2016 Graviano si era rivolto al codetenuto Umberto Adinolfi, che stava per essere scarcerato, per chiedergli di «fare arrivare un messaggio a Silvio Berlusconi», che «doveva mantenere gli impegni presi» e per «ricordargli che sono ancora vivo, a differenza di mio cugino Salvo che nel frattempo è morto. E i patti vanno rispettati. Doveva rispettare un accordo che riguardava alcuni investimenti fatti con mio nonno».

Nella conversazione si sente Graviano che dice ad Adinolfi che «bisogna trovare la strada per fare trovare un messaggio per qualcuno che non ha rispettato i patti». E oggi ribadisce che quel «qualcuno» sarebbe proprio l'ex premier Silvio Berlusconi. «Mio nonno agli inizi degli anni Sessanta aveva consegnato venti miliardi a un gruppo imprenditoriale del Nord e si era stabilita la percentuale del 20 per cento da allora in poi». «Ma Berlusconi non aveva rispettato i patti – dice rispondendo al procuratore aggiunto Giuseppe Lombardo –. E io chiesi ad Adinolfi se mi poteva fare la gentilezza di ricordare che ancora sono vivo e si doveva togliere i debiti che aveva, andavano rispettati gli impegni presi con mio nonno». Adinolfi fa capire, come risulta dalle intercettazioni, di avere «un buon gancio». Ma oggi Graviano chiede di non fare il suo nome: «Dottore, non mi faccia fare il nome, per cortesia». E alla domanda del pm Lombardo che gli chiede se «già prima dell'aprile 2016 aveva provato a fare arrivare un messaggio all'ex premier Berlusconi», Graviano replica: «Sì. A me interessava che venissero rispettati gli impegni presi con i creditori che avevano il 20 per cento della società». Ribadisce anche, come già detto nella scorsa udienza, che esisteva una «scrittura privata» che avrebbe provato quegli affari tra Berlusconi con il nonno materno. Poi, spiega ancora che il nonno avrebbe «investito 20 miliardi di vecchie lire» con «un gruppo imprenditoriale di Milano» che avrebbe fatto capo proprio a Berlusconi. 

Graviano si è anche difeso dalle accuse sulle stragi: «Io sono stato arrestato per un progetto che è stato voluto da più persone. È dimostrato dal fatto che ogni giorno ricevevo visite, e non so se venivano registrato. C'erano carabinieri, poliziotti. E alla fine mi hanno detto: “Ora l’accuseremo per tutte le stragi d'Italia, da qui non uscirà più”. E poi ho ricevuto l’ordinanza di custodia cautelare di Roma».

Ed ecco un dettaglio che getta ombre sull’accuratezza della vigilanza in carcere: «Non racconterò mai a nessuno come ho concepito mio figlio mentre ero al carcere duro, perché sono cose intime mie. Dico solo che non ho fatto niente di illecito, ci sono riuscito ringraziando anche Dio e sono rimasto soddisfatto. Non ho chiesto alcuna autorizzazione, ma ho approfittato della distrazione degli agenti del Gom...». Di più non vuole aggiungere il capomafia di Brancaccio. Dice e non dice. Ma ci sono le intercettazioni a raccontare quanto sarebbe accaduto nel 1996.

Notizia e foto tratte da La Stampa
© Riproduzione riservata
14/02/2020 14:18:36


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