Notizie Locali Interviste locali
Mondo Economia: intervista all'imprenditore Maurizio Ceci

Titolare della Tiber Pack, azienda di caratura internazionale
È fra gli artefici della crescita esponenziale di una fra le aziende al momento più importanti di Sansepolcro e dell’Alta Valle del Tevere: la Tiber Pack, nella zona industriale di Santafiora, specializzata nel packaging, ovvero nelle modalità di confezionamento e presentazione di un prodotto funzionali alla sua vendita. Oltre 100 i dipendenti che impiega. Maurizio Ceci, biturgense, è il direttore tecnico e commerciale (Cio) di un vero e proprio fiore all’occhiello dell’imprenditoria locale, assieme a Silvia Zeta, che ha ereditato dal padre la Tiber Meccanica, nome originario di questa realtà. Il Covid-19 ha un tantino frenato, ma non certo ostacolato, il processo di crescita della Tiber Pack, che da doversi anni è oramai costante.
Ceci, in che misura il Covid-19 ha condizionato i vostri programmi e la vostra operatività?
“Da febbraio a marzo si è posto un problema di riflessione su come organizzarci, ma soprattutto si è creata l’esigenza di porre particolare attenzione alla salute di tutti, quindi abbiamo dovuto ripianificare il lavoro. Non ci siamo comunque fermati, perché abbiamo la produzione interna e quindi non dipendiamo da fornitori esterni. E poi, spazio alle videoconferenze, uno strumento del quale il lockdown ha suggerito l’utilizzo anche per il futuro; grazie alla strumentazione in nostro possesso (ricordo che stiamo mettendo la fibra ottica per la nostra azienda), abbiamo potuto far effettuare viaggi virtuali nello stabilimento ai nostri interlocutori, specie nel reparto collaudo. Un sistema che ha funzionato - perché abbiamo chiuso due contratti speciali con altrettante aziende - e che quindi d’ora in poi diverrà metodologia, per cui stiamo di fatto modificando la strategia commerciale. Per il resto, non abbiamo registrato cali di fatturato e la Tiber Pack ha evidenziato un’altra leggera crescita, nonostante la perdita dei due mesi sopra ricordati che ci ha impedito di salire del 10-15%”.
In quale maniera attuate i protocolli anti Covid-19 all’interno dell’azienda?
“Premetto che siamo molto fiscali, perché salute e sicurezza stanno davanti a qualsiasi altra ragione. Il nostro regolamento prevede per tutti l’utilizzo della mascherina chirurgica a emissioni zero e con rischio di introduzione pari al 20%. Se tutti la indossano, un contagiato non può trasmettere il virus e da lunedì scorso, 2 novembre, abbiamo obbligato anche i clienti a indossare le mascherine che abbiamo in dotazione; se non le hanno, gliele forniamo noi. Tutte le mattine, poi, la prima operazione è la misurazione della temperatura. Su queste disposizioni, siamo molto rigorosi e vale anche per il sottoscritto. La speranza è che quindi tutti rispettino alla lettera le normative. In ogni ufficio, abbiamo posizionato i disinfettanti che periodicamente vengono usati nell’arco della giornata. Non solo: sempre in nome della sicurezza, abbiamo “compartimentato” i reparti: si va da uno all’altro solo per giustificati motivi. Se poi vi sono incertezze a seguito di contatti avuti con parenti, amici e vicini, preferiamo che ogni dipendente ce lo comunichi: per precauzione, preferiamo tenerlo a casa”.
In che cosa abbiamo sbagliato noi italiani, dal governo fino ai semplici cittadini, nella fase compresa fra le due ondate del Covid-19, dal momento che ora ci ritroviamo con numeri di contagio ancor più elevati?
“La parola chiave, in casi del genere, è soltanto una: prevenzione. Occorre sempre ragionare in prospettiva e capire cosa potrà succedere a distanza di 5-6 mesi. Purtroppo, ci siamo adagiati sugli allori dopo che l’obbedienza di marzo, aprile e maggio ci aveva portato davanti alle altre nazioni; non c’è stato insomma quel rigore di comportamento che ci aveva caratterizzato nel momento più difficile e soprattutto i giovani non hanno abbastanza riflettuto sul fatto che riportare a casa il contagio avrebbe potuto avere ripercussioni sulle persone più anziane. Certo è che, quando guardo gente con la mascherina (e per fortuna tutti la portiamo), mi sembra di stare in un film di fantascienza: speriamo che finisca al più presto”.
Il 2021 di Tiber Pack con quali premesse si appresta a iniziare?
“Senza dubbio positive. Abbiamo già consegne da effettuare per aprile-maggio e le previsioni per il secondo semestre sembrano persino migliori, perché abbiamo dei contatti con importanti multinazionali, che stanno oramai diventando il nostro target di clientela. Credo quindi che il passo decisivo compiuto con il tempo dalla nostra azienda sia stato proprio quello di essere al centro dell’attenzione delle multinazionali e non soltanto delle realtà del settore “food”; anzi, lavoriamo per 15 diverse tipologie. Nel 2021, poi, entrerà in funzione qui da noi il centro ricerca e sviluppo, mentre è già operativo a San Leo di Anghiari un nostro distaccamento di carpenteria per la produzione dei telai. Abbiamo poi aperto un altro spazio ricreativo interno, comprensivo anche della ristorazione, perché qui da noi il dipendente trovi soddisfazione sia nel lavoro che anche nelle pause”.
Faccia in conclusione una previsione: quando usciremo da questa parentesi del Covid-19?
“Per come la vedo io, credo sia impensabile che ciò avvenga prima del prossimo giugno, poi bisogna vedere a che punto siamo con il vaccino. Al proposito, l’ipotesi di un’accelerazione dei tempi del vaccino mi fa onestamente paura. Mi auguro che venga sperimentato al meglio e lo ripeto: spero che il ° giugno 2021 si possa se non altro iniziare a pianificare un modo di vivere più tranquillo, per fare in modo che il secondo semestre dell’anno ci riaccompagni verso la completa normalità”.
Commenta per primo.