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Anna Bettozzi, condannata a 13 anni la “Lady Petrolio”

Fu fermata in Rolls Royce mentre era diretta al Festival di Cannes

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Un passato da immobiliarista e da aspirante popstar, ma un futuro da detenuta. È la triste parabola di Anna Bettozzi, conosciuta come Ana Bettz, condannata oggi dal gup di Roma a 13 anni e due mesi di reclusione, in uno dei filoni della maxindagine sulle "Petrol Mafie Spa". Un processo svolto con il rito abbreviato: oltre la vedova del petroliere Sergio Di Casare sono state condannate altre otto persone. Nei loro confronti il giudice ha disposto pene comprese tra i 9 anni e 4 mesi e i 4 anni e 2 mesi nonché la confisca di 180 milioni di euro. L'indagine che coinvolge "Lady Petrolio" ha riguardato anche le procure di Catanzaro, Reggio Calabria e Napoli. Indagini che hanno smascherato un vasto giro di riciclaggio, autoriciclaggio e ripetute frodi nel settore degli oli minerali. Comune denominatore delle 4 inchieste era la «nefasta sinergia» tra mafie e colletti bianchi. I pm capitolini contestavano all'imprenditrice e agli altri imputati le accuse, a vario titolo, di associazione a delinquere costituita per la commissione di plurimi reati tributari, illecita commercializzazione di prodotti petroliferi, riciclaggio, autoriciclaggio, anche al fine di agevolare le attività di associazioni di tipo mafioso.

Bettozzi per questa vicenda finì in manette nel maggio del 2019: fu bloccata a bordo di una Rolls Royce alla frontiera di Ventimiglia mentre era diretta al Festival di Cannes. In quella occasione la Guardia di Finanza la trovò in possesso di 300mila euro in contanti e nel corso di una perquisizione in albergo a Milano le furono trovati altri 1,4 milioni di euro. Denaro poi posto sotto sequestro dagli inquirenti. Le indagini hanno fatto emergere i rapporti tra la Bettozzi e la criminalità organizzata napoletana. «Ah Pie’ , io dietro c'ho la camorra!», afferma in una intercettazione Lady Petrolio.

Per gli inquirenti la donna era pienamente consapevole di chi erano i suoi nuovi soci in affari. Lei, che si vantava al telefono di avere avuto come soci i nomi più importanti dell'imprenditoria italiana, secondo l'accusa aveva trovato più redditizio legarsi a gruppi camorristici. E in effetti il volume d'affari della sua società petrolifera, grazie alle iniezioni di capitali illeciti da riciclare, era passato da 9 a 370 milioni di euro in tre anni. Al centro delle inchieste romana e napoletana la società Max Petroli di cui era amministratrice la Bettozzi – indicata come capo indiscusso del sodalizio criminale – poi trasformata nella Made Petrol Italia diretta dalla figlia Virginia Di Cesare ma, di fatto, secondo gli investigatori, sempre controllata dalla madre.

Notizia e foto tratte da La Stampa
© Riproduzione riservata
12/10/2022 20:02:45


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