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Guerra in Ucraina, fallito il vertice di Istanbul

Kiev: "Priorità è la tregua". Trump: "Voglio incontrare Putin"

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Doveva essere un passaggio decisivo per riattivare il dialogo tra Russia e Ucraina, ma il vertice ospitato a Istanbul si è trasformato in un evento formale privo di sostanza. Come riportato dalle agenzie internazionali, l’incontro si è aperto senza i veri protagonisti della guerra, con delegazioni di secondo piano e una fitta cortina di ambiguità. Il rifiuto di Vladimir Putin di partecipare ha segnato l’inizio della crisi del vertice, spingendo anche altri leader ad allontanarsi. Volodymyr Zelensky, già a Istanbul per un incontro con Erdoğan, ha delegato il ministro della Difesa Rustem Umerov, una mossa che Mosca ha subito definito provocatoria. “La Russia non è seria”, ha dichiarato Zelensky, “ma per rispetto di Erdoğan e Trump, l’Ucraina sarà presente”. L’ex presidente USA ha però spento ogni entusiasmo: “Non succederà nulla finché io e Putin non ci incontreremo”, ha detto Trump, smorzando ogni possibilità di svolta.

Scambi di accuse: Mosca e Kiev si sfidano sulla legittimità

Il confronto si è presto trasformato in un botta e risposta tra retoriche opposte e delegittimazioni. Zelensky ha bollato la presenza di Vladimir Medinsky come capo negoziatore russo come “una farsa”, mentre da Mosca è giunta una replica durissima. Maria Zakharova, portavoce del Cremlino, ha attaccato il presidente ucraino definendolo “un clown e un fallito”.
Dietro l’invettiva, l’intento strategico russo appare chiaro: spostare il racconto diplomatico verso il “Sud globale” e verso Trump, tentando di mostrare che Mosca non è isolata. Lo stesso Medinsky ha provato ad ammorbidire i toni: “Siamo pronti a discutere e aperti a compromessi possibili”. Ma l’assenza di figure di rilievo e il clima da muro contro muro hanno svuotato l’incontro di ogni contenuto reale.

Tregua di 30 giorni? Gli USA e la Turchia ci provano

A mantenere acceso il lume del dialogo restano gli Stati Uniti e la Turchia, che hanno assunto un ruolo di mediatori tecnici. L’obiettivo ucraino è chiaro: ottenere un “cessate il fuoco incondizionato” di almeno trenta giorni, base necessaria per avviare una trattativa più solida.
Tuttavia, mentre la Francia insiste sulla tregua come precondizione, Mosca rilancia la formula del negoziato senza vincoli iniziali. Trump si mostra ambiguo: se da un lato non boccia apertamente la delegazione russa, dall’altro dice di “non sapere molto sulla sua composizione”. Il segretario di Stato USA Marco Rubio è più cauto: “Vedremo cosa succederà nei prossimi giorni. Il presidente vuole la pace e sostiene ogni meccanismo utile a un’intesa duratura”.

Nuovi movimenti russi: cresce il timore di un attacco

Intanto, lontano dai tavoli negoziali, la situazione sul campo si fa sempre più tesa. Secondo fonti della CNN, la Russia starebbe preparando nuove forze in prima linea, con l’obiettivo di spingersi verso la periferia di Kiev. Due funzionari americani citati dalla rete parlano di movimenti di truppe e mezzi che lasciano presagire una possibile offensiva su larga scala.
Questi segnali alimentano le paure nelle capitali europee, dove cresce la pressione per adottare misure più incisive e scoraggiare Mosca da ulteriori attacchi. La diplomazia continua a inseguire il conflitto, mentre il terreno sembra già pronto per una nuova escalation armata.

L’Europa valuta nuove sanzioni contro Mosca

L’Unione Europea appare sempre più divisa tra la speranza nel dialogo e la necessità di rafforzare la pressione economica. Il premier britannico Keir Starmer ha sintetizzato il sentimento generale: “Putin sta solo prendendo tempo, non è interessato alla pace”.
Parigi, Berlino, Varsavia e Londra spingono per una risposta più severa, nel caso Mosca continui a evitare negoziati reali. La Commissione, per voce di Ursula von der Leyen, ha rilanciato l’idea di inasprire le sanzioni economiche per dimostrare che “chi rifiuta la pace dovrà pagare il prezzo”. Kiev, nel frattempo, resta al centro della scena, sostenuta ma sempre più sola nella ricerca di una soluzione concreta.

La battaglia della narrazione e il ruolo simbolico di Istanbul

Oltre al fronte militare e diplomatico, si combatte una guerra parallela fatta di immagini e messaggi. La scelta di Istanbul come sede del vertice risponde al desiderio turco di posizionarsi come ponte tra Est e Ovest, ma in questo caso la città è diventata il teatro di una rappresentazione sterile. “Abbiamo fatto il primo passo verso la de-escalation”, ha detto Zelensky, nel tentativo di ribaltare il racconto.
Il Cremlino, al contrario, cerca di mostrarsi come parte ragionevole, senza però dare segnali di apertura vera. Mentre il mondo osserva, la distanza tra parole e azioni resta enorme, e la strada verso la pace continua ad allungarsi.

Foto Ansa

Notizia e foto tratta da tiscali.it
© Riproduzione riservata
16/05/2025 12:57:17


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