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Paolo Pennacchini, mister beccaccia e la sua filosofia di “bosco-terapia”

Conosciuto come autore delle storie di Tovaglia a Quadri, è anche un "beccacciaio"

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Aretino tornato alle sue origini valtiberine, anghiarese da trent’anni, classe 1963. Conosciuto come autore delle storie di Tovaglia a Quadri, è anche un beccacciaio: questo l’identikit di Paolo Pennacchini, lui il personaggio scelto per il mese di novembre. Si definisce un cacciatore in punta di piedi, sempre fedele al motto d’oltralpe “Cacciare il più possibile, uccidendo il meno possibile”. La caccia per passione, la beccaccia per professione verrebbe da dire: oramai da anni, infatti, è impegnato nell’affermazione della sostenibilità della caccia alla beccaccia attraverso la Federazione Italiana Beccacciai della quale è presidente. Inoltre, è fondatore e presidente della FANBPO la federazione europea che racchiude al suo interno tutte quelle che sono le associazioni nazionali dei beccacciai; Pennacchini è stato uno dei primi ad occuparsi di sostenibilità a seguito di molte esperienze sviluppate all’estero conseguenti una laurea dedicata alla protezione della fauna selvatica nel diritto internazionale. È stato consulente per il diritto ambientale presso la Corte di Cassazione per i Progetti ENLEX (Environmental Legislation) e del Tribunale Internazionale dell’ambiente, oltre che delegato italiano alla Conferenza ONU su Ambiente e Sviluppo- UNCED di Rio de Janeiro nel 1992. Pennacchini raccoglie dati scientifici raccolti attraverso studi e monitoraggi al fine di tracciare l’identikit della beccaccia che transita e sverna nella nostra penisola e conoscere il suo stato di salute. Il suo obiettivo è quello di valorizzare un nuovo cacciatore quale primo mattone della ricerca scientifica applicata alla caccia. È autore di numerosi articoli e pubblicazioni in materia. Ad Anghiari, inoltre, è presente oramai da qualche anno il MuBec: il primo e unico museo al mondo dedicato alla Beccaccia. Un ponte tra ambientalismo e caccia sostenibile. Biologia, migrazione e habitat. Cultura venatoria, etica e cinofilia...e i tanti misteri della Regina.

Perché un Museo della Beccaccia e perché proprio ad Anghiari?

“La domanda la fanno in tanti: cacciatori, naturalisti, famiglie e i tanti turisti che vengono a visitarlo. Perché c’è bisogno di cultura, formazione e informazione. E la beccaccia è una grande opportunità, soprattutto per il mondo venatorio perché attraverso la cultura possiamo riuscire a parlare con una società che non caccia, far conoscere i misteri di un uccello particolare e soprattutto quello che sta intorno; cambiamenti climatici e problematiche di biodiversità. Spiegare cos’è la caccia, le attività delle aree interne oltre a memorie, tradizioni e culture. La sostenibilità venatoria, l’equilibrio tra il prelievo e la conservazione. Perché qui ad Anghiari? Perché questo promontorio è esattamente inquadrato con quelli che sono i flussi migratori; al dì la dell’Appennino troviamo la Croazia, i Carpazi o i paesi del nord Europa dove nidificano. Ogni volta che giunge in migrazione Anghiari è come se l’accogliesse, aprisse le braccia e la custodisse. Bellezza che chiama bellezza, ma soprattutto principi di etica, educazione e di conoscenza. La beccaccia è un animale come noi umani: ha bisogno di rispetto, etica e anche una giustificazione non solo culturale ma anche scientifica per effettuarne il suo prelievo. Il futuro inizia attraverso la conoscenza: il Museo della Beccaccia è l’unico al mondo che vuole parlare di tutto questo.

Come nasce il rapporto tra Paolo Pennacchini e il mondo della beccaccia?

“Ho un ricordo molto chiaro. Ero a caccia con mio padre, nel bosco e il cane in ferma: ero da poco maggiorenne. Parte quest’ombra tra i rami di una quercia, sbuca fuori verso di me illuminata dal sole e io non riesco a far nulla se non guardarla a bocca aperta. Non successe nulla di fatto. Quello è stato l’inizio di una relazione che si è poi sviluppata piano piano, diventando sempre più forte”.

Ci può descrivere in poche parole che animale è la beccaccia?

“È un uccello crepuscolare. Il suo ciclo di vita si svolge soprattutto di notte, il giorno si nasconde nel sottobosco e dorme. Ovvero, fa finta di dormire. Non ha lo stormo, non ha famiglia, è un uccello che vive in solitudine del quale è impossibile distinguere il genere; non ha il dimorfismo. Non ha un canto e neppure una voce. Tutto questo caratterizza il suo mito e il suo grande fascino”. 

Di cosa si occupa il Centro Studi Beccaccia?

“Il Centro Studi Beccaccia è una rete di luoghi di studi e di monitoraggio della specie. Negli ultimi 20 anni stiamo affermando la sostenibilità della caccia come un nuovo modo di andare per i boschi, laddove il prelievo deve essere in equilibro con la conservazione. Per sapere quante beccacce possiamo prendere in Europa, in Italia e in Valtiberina dobbiamo prima avere dati scientifici sulla presenza della specie e sul suo stato di salute”.

Quali sono i dati che raccogliete quotidianamente e il loro utilizzo?

“Noi raccogliamo in tutta Italia e in tutta Europa il trend demografico, ovvero il rapporto giovani adulti, e al suo interno il rapporto maschi e femmine che arrivano in migrazione e che svernano. Si chiama la fenologia. Poi per capire quante beccacce ci sono, che è difficilissimo saperlo per una specie migratrice, utilizziamo gli studi sull’abbondanza che è un indice internazionale basato sul numero di beccacce incontrate secondo le ore di uscita. Ricordiamo che in Italia abbiamo una legislazione sulla caccia alla beccaccia in termini di quantitativi e prelievi annuali, orari e giorni di caccia, la più stringente d’Europa. Di questo personalmente ne vado fiero”.

Beccaccia in Valtiberina: ci può fare una panoramica della situazione attuale?

“Fino agli anni ‘90 erano pochi i cacciatori di beccaccia, una élite direi silenziosa che con il passare del tempo e la perdita della piccola selvaggina stanziale (soprattutto le starne) ha orientato nuovi cacciatori sulla caccia di questa specie con il cane da ferma. La beccaccia solitamente entra in Valtiberina dagli ingressi del Monte Fumaiolo, dal Passo di Viamaggio e Bocca Trabaria. Perché qui mette il piede dopo aver attraversato l’Adriatico, quindi, ha un notevole valore statistico il suo monitoraggio. Calcoliamo che le beccacce che arrivano in Valtiberina nascono a ridosso di San Pietroburgo e vicino ai Monte Urali in Russia: impiegano circa 60 giorni di migrazione per giungere in riva al Tevere. Il tutto dipende come sempre dai venti, dalla pressione atmosferica affinché seguano i canali migratori secolari: tra questi le linee del fiume Marecchia e del fiume Savio che li conduce per mano nel nostro appenino e poi nelle colline attorno ad Anghiari, Monterchi e Sansepolcro che offrono luoghi di svernamento ideali per questa specie”.

Quali sono le principali problematiche di questo animale in Italia?

“Le problematiche in Italia sono quelle che la beccaccia ha pure nei luoghi di riproduzione, prevalentemente nel nord est europeo. Stiamo studiando il suo comportamento in relazione al cambiamento climatico, la tropicalizzazione dell’appennino favorirà una maggiore presenza di beccacce e addirittura pensiamo che le sporadiche nidificazioni registrate nell’ultimo secolo aumenteranno decisamente grazie ad una permanete umidità dei terreni. Di contro nel sud Italia soprattutto il Salento, la Sicilia occidentale e il sud della Sardegna i trend di desertificazione sono in aumento e la beccaccia, siccome animale intelligente, probabilmente non raggiungerà più queste aree”.

Come sta la Beccaccia in Europa e perché è importante monitorarla?

“Lo stato di salute è classificato in maniera tecnica (LC che significa Least Concert), ovvero minor preoccupazione, significa che è mantenuta cacciabile dalla direttiva europea uccelli grazie al suo stato favorevole di conservazione. È fondamentale studiarla e monitorarla sia a caccia aperta che chiusa, da ottobre a fine gennaio in Toscana. Per capire non solo la sua salute ma anche quella degli habitat che frequenta”. 

Paolo Pennacchini è anche cacciatore, o comunque come si definisce?

“Io mi definisco un divulgatore della specie che racconta la salute della terra. In venti anni di conferenze, incontri, lezioni universitarie e scolaresche ma anche colloqui con gli studenti che vengono in visita al Mubec, l’aspetto del prelievo per me è oramai più che secondario. Mi considero un ‘cinofilo beccacciaio’ che ama stare con il cane nei boschi alla ricerca della regina. E quando capita di incontrarla la guardo e mi incanto ancora, sperando di poterla incontrare anche il giorno dopo. La mia non la chiamo più caccia, bensì bosco-terapia”.

Poi è arrivato anche il MuBec ad Anghiari: di cosa si tratta?

“Un piccolo museo dove si raccontano grandi cose. Cambiamenti climatici, la tutela della biodiversità e la beccaccia come indicatore della salute della terra. Siamo aperti da aprile del 2019, nel museo sono rappresentati università e poli scientifici sia nazionali che europei. Il MuBec accoglie un turismo importante grazie al sistema Anghiari, tantissimi stranieri delle grandi città del mondo che vorrei dire soffrono tutti della stessa malattia: la lontananza dalla natura per concetto di vita, di morte, di habitat che adesso vedono dentro un ‘Tik tok’ in una condizione di vita piena di stress e velocità, che non è certo quella del nostro pianeta. La beccaccia ci invita tutti a darci una grande calmata”.

Come vede il futuro di questo animale?

“Come dice Darwin ‘non sono i più grandi e i più forti che sopravviveranno, ma le specie che si adatteranno’. Basta dare un’occhiata lungo la ‘ritta’ che da Anghiari va a Sansepolcro: un tempo si vedevano tantissime specie, adesso solo corvidi e aironi. La beccaccia aumenterà la sua presenza nelle foreste della Valtiberina perché c’è una cura selvicolturale importante, e troveranno nella pianura e nei piccoli habitat dei Comuni di Caprese Michelangelo, Monterchi e Pieve Santo Stefano luoghi importanti per nutrirsi, dove ancora una certa chimica invasiva applicata all’agricoltura intensiva non è arrivata e non dovrà mai arrivare”.

Redazione
© Riproduzione riservata
19/12/2025 09:53:57


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