Notizie Locali Altre notizie

Sulle tracce di Tonino Guerra in Alta Marecchia Toscana

Le case volanti, così titola il borgo di Montebotolino

Print Friendly and PDF

Tra gli anni ’80 e ‘90 la gente si interrogava cosa ci facesse Tonino Guerra, amico di Federico Fellini, nel territorio di Badia Tedalda alle pendici dell’Alpe della Luna. Era solito camminare lungo il fiume Marecchia, in prossimità di qualche caseggiato alla ricerca di personaggi locali. Si avvicinava a queste persone con grande capacità narrativa, si fermava a parlare con rispetto e ammirazione per la sapienza e la saggezza di cui erano portatori. In località Ranco, piccolo borgo oggi spopolato dove a lato scorre il fiume Marecchia, il poeta aveva individuato Liseo, incuriosito dal modo che aveva di catturare la talpa dentro al suo orto che da giorni buttava all’aria le fatiche di un’intera stagione. Così, dedica a Ranco un bellissimo poema dal titolo: L’orto di Eliseo, ‘L’ort ad Liseo’ in dialetto locale, che è stato pubblicato in una prima edizione nel 1989 e ristampato poi nel 1991. È un racconto a stagioni in dialetto romagnolo, in cui i singoli testi seguono in senso cronologico, corrispondenti ai mesi dell’anno. Si focalizza su Eliseo che vive solo dentro il suo orto a Ranco in Valmarecchia, intento a rivoltare pere ammaccate e distendere semi di zucca su una latta arrugginita: aspetti al quale dedica intere giornate. Il vecchio è l’unico superstite rimasto nella casa in un borgo di ruderi e catapecchie alle pendici della montagna di Montebotolino, dove un tempo c’era la dogana che divideva il Granducato di Toscana dallo Stato Pontificio. L’atmosfera umile e dismessa, tuttavia, non cede mai alla desolazione grazie all’irrompere costante di elementi vitali e rassicuranti: il profumo delle ciliegie, il canto delle cicale oppure la visita di qualche conoscente. Alle poche persone che lo vanno a trovare Eliseo parla con saggezza, come accade nel caso della parente recatasi da lui in occasione del suo compleanno, che prima di congedarsi gli domanda se crede o no nell’esistenza di Dio. Mentre la statua di Sant’Antonio a ottobre ascolta i tonfi delle noci che cadono sui coppi della chiesa e schioccano nello spaccarsi diventando cibo per gli animali selvatici. Liseo non si aspettava una domanda così. Immediata la reazione del protagonista appoggiato alla porta di casa concentrato a rifare il nodo dei lacci delle scarpe. La frase in dialetto romagnolo è “A dói che u i è e’ Signòur e’ pò ès una buséa, / a dói ch’u n gn’è e’ pò ès una buséa piò granda”. Tradotta in un linguaggio comunale sta a significare “dire che c’è il Signore può essere una bugia, ma dire che non c’è può essere una bugia più grande”. Lo sceneggiatore si sente molto legato al borgo così spopolato, per testimonianza fa fissare alla parete della piccola chiesetta una targhetta, in seguito rubata, con la scritta: “a questa chiesuola dove la domenica sentiva cadere le noci sui coppi, Eliseo veniva spesso a tenere compagnia alla moglie che puliva e metteva fiori finti nei barattoli sull’altare. Adesso che lui non c’è più restano per sempre nell’aria le parole che disse a proposito dell’esistenza di Dio”. Partendo da lì, e man mano che procede in questo canto della memoria e della malinconia senza lacrime ma sorrisi anche amari e la speranza. L’amico di Fellini ha ristretto il panorama – nel suo mondo – quasi fosse una vera tornatura di campagna da arare e seminare per un giusto raccolto. “La terra del Marecchia affiora dal mare del tempo ancora umida di piccoli misteri, di luce, di voci d’uomini e animali, di stravolte fantasie”. L’orto ha subito una città assediata, il vecchio non è il re: è solo bagnato di saggezza e di anni, ma assai poco rassegnato, che non cerca neanche il sonno. E la talpa, oh la talpa è come uscita da sotto terra. Passano giorni di sole e di vento, notti di luna calma, incerti silenzi di acqua che scorre in quel tratto di pianura, mezzogiorni di fuoco, ma la battaglia fra il vecchio e la talpa non si quieta. Tutto scorre in quest’opera, che stringe in pugno Tonino Guerra con una lettura veloce riduce tutto a un piccolo orto, a un uomo vecchio, a una piccola talpa. Ed è la guerra di Troia.

Rofelle punto di arrivo  

Tonino Guerra frequenta la frazione di Rofelle già agli inizi degli anni ‘70 insieme al fratello che era un commerciante di legna: i due frequentano l’osteria di “Gosto” per bere vino. In quello spazio non è difficile fare amicizia, perché li si conoscono tutti. Lo sceneggiatore si immagina un percorso felliniano da inserire in pellicola. Per dare valore alle erbe e fiori spontanei che la natura offre, l’artista consiglia di sostituire la vecchia titolazione dell’osteria con ErbHosteria. Così è ancora oggi. “Non tralasciava niente e il suo mondo diventava anche il tuo – dicono Piero e Mara Valentini, i titolari dell’esercizio – e proprio così è nato l’appellativo de ‘il Maestro’. Un rapporto ricco di incontri, perché al regista piaceva portare personaggi famosi, consapevole che questo avrebbe dato lustro al nome del locale, fatto di momenti densi di emozioni soprattutto quando veniva con il figlio Andrea o con Lora Kreindlina, la moglie. Nel locale è riuscito a trascinare registi e attori famosi come Bernardo Bertolucci, il turco Terzan Ozpetek, oppure Renato Pozzetto, Monica Vitti, Alessandra Mussolini e tanti altri. Egli ha saputo scovare e soprattutto valorizzare negli abitanti dell’Alta Valle la creatività naturale in ogni persona, di tutti ha fatto artisti e ha insegnato a vedere e non a guardare con altri occhi la bellezza di questa valle. Amava i piatti semplici e non elaborati, era curioso, ma non usciva mai dalle righe. Le erbe del luogo diceva di amarle e incoraggiava a raccontare le storie che queste si portavano dietro: a pranzo chiedeva quasi sempre il suo piatto preferito, la crema di porcini, un piatto delicato che l’Erbhosteria consiglia ancora oggi per il sapore della montagna e della sua terra. Si divertiva, ascoltava e prendeva su tutto per farne patrimonio della sua arte.

Le case volanti, così titola il borgo di Montebotolino

Dal libro delle chiese abbandonate, al paese spopolato. Tonino Guerra scrisse “Certe sere i casoni di Montebotolino volano via e sembrano delle macchie rosa sopra una tela trasparente”. D’inverno, se piove, restano coi piedi dentro le pozzanghere e l’acqua gli scivola addosso come se fossero delle rocce. Così descrive il borgo a chi voleva rendersi conto di come si viveva nel Medioevo fra la Toscana, la Romagna e le Marche: non deve recarsi a Gradara o San Marino, i cittadini che rievocano un po’ ad arte quel periodo storico, ma deve scegliere come meta alternativa un minuscolo villaggio dell’alta valle del Marecchia Toscana nascosto nelle pieghe delle montagne, le più aspre e ventose che si possano immaginare. Si chiama Montebotolino. Non ci sono tracce per il nome così infantile, dato che le sue case contano i secoli e le pietre i millenni. Certo, li il tempo si è fermato! Solo gli abitanti se ne sono andati, il resto è come ai tempi dei feudatari e degli abati. Per assaporare la propria bellezza si sale a piedi per la vecchia mulattiera, non s’immagina di scorgerlo orribilmente esposto a una vertiginosa parete di roccia. Tutto questo lo chiamano il Paradiso. Un gesto riconoscente e devoto per un villaggio che racconta le sue storie al vento e agli uomini. Le case stanno lassù, in fila, a sfidare la terra e il cielo. Non ci vive più nessun, fino a qualche decennio fa ci abitava una sola persona. Era Remone, al secolo Remo Bovicelli, e non era scontato trovarlo dal carattere taciturno e scorbutico; viveva in compagnia dei suoi gatti e si diceva che ne avesse almeno una cinquantina. A Lui, dedica un disegno.

La chiesa abbandonata a Montelabreve  

Colline sfiorate dalle acque, un viaggio in campagna nella sua terra dove incontrava i contadini, pastori e viandanti. Le chiese raccontate si rivelano luoghi dove uomini, animali e natura trovano spazio per manifestare i loro ritmi vitali. La chiesa di Montelabreve spicca a lato lungo la valle, è un luogo spopolato, fare visita è necessario e così nasce il titolo: "Il libro delle chiese abbandonate”. Leggenda popolare, magia e realtà si alimentano, definendo cadenze narrative che hanno il potere di addolcire gli affanni dell’anima. In quei luoghi vi sono campane che suonano senza che nessuno tiri la corda, fedeli in ginocchio davanti alle crepe delle pareti pronti a confessare i loro peccati, ma non avendone se li fanno suggerire da altri. Dopodiché una volta sazi per ringraziamenti strisciano la schiena sui muri. Vetri delle finestre rotti, poi tutte le porte si sono infradiciate e i chiodi si muovevano tra la carta marcia delle assi crocefisse che erano piene di buchi. Si sono sfatte nei decenni con le criticità delle stagioni. La chiesa semidistrutta dal tempo, nel suo pellegrinare cercò di forzare la porta socchiusa: i chiodi cominciarono a volare, si trova di fronte a quello che era rimasto del vecchio altare. Il piano pieno di polvere, d'improvviso la scena surreale: un tacchino ruota sopra l’altare, si era messo a fare gazzarra, l'aria era piena di piume che calavano sul pavimento come cadessero dalle ali degli angeli in volo sul soffitto, la chiesa sembra che crollasse e ti indica giù nella valle dei mucchi di sassi e calcinacci. Il confessionale è una baracchetta d'abete pitturata, coi tarli che mangiano anche i chiodi. L'impalcatura sostiene pezzi di legno che formano una trasparenza di ragnatela. Un ragno dondola in fondo al filo che scendeva da un imbuto di seta lungo il confessionale. Il poeta si siede per provare se il prete stava comodo.

Verso Palazzo dei Monaci di Viamaggio

Il suo pellegrinare non si ferma. Dalla frazione di Viamaggio cammina per la strada sterrata che scende al fosso del Presalino, si attraversava per entrare sull’unica mulattiera che – salendo verso il Passo dello Spugnolo – conduce ai resti del Palazzo dei Monaci, pare che nel monastero avvenissero morti misteriose. Il poeta romagnolo mette a segno il massimo della sua fantasia. Pensa di sviluppare una pellicola nelle stanze del Palazzo lungo il corridoio architettonicamente a forma di “elle”. Si è a conoscenza di una cappella con a lato una buca con dentro molte ossa umane. Il luogo sarebbe stato un “posto punitivo” per monaci che avevano infranto il voto di castità, per l’atmosfera stessa del luogo isolato avvolto dal bosco, nel tempo su questo sito sono nate leggende e misteri. In una delle tante stanze vi è l’ingresso a un sotterraneo, alla fine del tunnel ci sarebbe stata una botola con il trabocchetto, al cui fondo si trovavano dei coltelli affiliati. Dunque, chi entrava in quel tunnel, percorreva un viaggio senza ritorno. Da qui l’idea di alcuni documentari prodotti sull’ambiente pieno di misteri. Il regista scrive sul campo tutta la sceneggiatura, spera di inserire il frutto di una lunga ricerca tra misteri e fantasmi che popolano l’Alpe della Luna. Una filmografia con scene e toni grotteschi dalle sfumature surreali, per inoltrarsi nei mondi fantastici e visionari. Un mondo straordinario e colorato, suggestivo, dove immagini e parole si intrecciano per raccontarci la realtà fatta di favole ed enigmi. L’anima del mondo per scoprirne i più intimi segreti, le loro più nascoste emozioni, i sogni e le speranze, pensa di raccontare con il suo lavoro nel cinema, le bellezze di un ambiente che rischia di scomparire a causa dell’aggressione dell’uomo, in una pellicola infinita che a vista d’occhio si prolunga per perdersi oltre l’orizzonte. In questa terra l’arte è bellezza naturale, la spontaneità è lo smalto delle cose, fa la vista più acuta, il linguaggio ritrova il sillabario dei sentimenti e l’umorismo trasporta tutto in un’atmosfera di liberazione. Così lo sceneggiatore immagina la nuova scena cinematografica, tutto è pronto, si aspetta l’inizio del ciak ma in questo surreale succede qualcosa di irreparabile: la troupe cinematografica informa che il luogo è disagiato, i costi sono alti, con delusione si deve abbandonare il set. Una collaboratrice dell’artista, Luciana Romanelli nata a Ponte Presale nel Comune di Sestino, era la diretta interessata nel recupero di terre necessarie per modellare a mano vasi e mattonelle in ceramica, poi cotti nel forno di sua proprietà. Tonino Guerra disegnava il frontale della formella, aggiungeva vari colori che di fatto richiamavano il periodo del medioevo. La Romanelli, da noi sentita, dice che non fu un lavoro semplice, la lunga ricerca e la forma da modellare in stile Raku fu una operazione difficoltosa, ma tutto riuscì bene. Di quel periodo, molte opere sono andate perdute o distrutte, mentre altre conservate nei musei di San Pietroburgo in Russia, in Italia al museo Tonino Guerra a Sant’Arcangelo di Romagna, Rimini e Pennabilli. Ancora oggi, sono numerose le richieste di opere d’arta da parte di altri musei sparsi per la penisola ma non ci sono più.  

Tonino Guerra è nato il 16 marzo 1920 a Santarcangelo di Romagna, dove è scomparso il 21 marzo 2012, in coincidenza con la celebrazione della Giornata Mondiale della Poesia istituita dall'Unesco. Le sue ceneri sono state inserite nella roccia, al dì sopra della sua casa dei mandorli a Pennabilli nel punto in cui si ammira la vallata, paese in cui ha abitato negli ultimi 25 anni. Luogo nel quale si respira un po’ ovunque la sua presenza. Era il più piccolo dei quattro figli di Penelope Carabini e di Odoardo, che vendeva carbone di cui si riforniva in montagna nell’alta Valmarecchia dove portava frutta e verdura. Nei primi anni ‘50 Tonino Guerra si trasferisce a Roma, dove comincia la carriera di sceneggiatore, nella capitale del cinema rimane trent'anni, per tornare in Romagna e quindi scegliere Pennabilli, nell'Alta Valmarecchia dove vive in una casa-studio arrampicata fra giardini. “'Qui - dice - ho ritrovato la via della poesia”. La Romagna del poeta è di qualità e mai di quantità, dove tradizione, poesia e arte si fondono tra loro con valori racchiusi anche nei vini locali. Poeta romagnolo, sceneggiatore e regista di fama internazionale rappresenta la svolta per la poesia dialettale che assume grande dignità letteraria, la sua poesia nacque nei campi di prigionia con alcuni compaesani. Nel 1946 ha pubblicato il suo primo libro, “I scarabocc”, a firma Antonio Guerra  

 

Notizia e foto tratte dal periodico l'eco del tevere
© Riproduzione riservata
04/07/2025 18:42:35


Potrebbero anche interessarti:

Ultimi video:

Crea un account o accedi per lasciare un commento

Bisogna essere registrati per lasciare un commento

Crea un account

Crea un nuovo account, è facile!


Registra un nuovo account

Accedi

Hai già un account? Accedi qui ora.


Accedi

0 commenti alla notizia

Commenta per primo.

Archivio Altre notizie

Completato il restauro della Chiesa di Sant’Agostino a Castiglion Fiorentino >>>

Donato il volume “I Carabinieri nel 1943” ad Enti presenti ad Arezzo ed in provincia >>>

Una coppia inossidabile, Fabio Mambrini e Lanfranca Pellegrini, festeggiano 50 anni di matrimonio >>>

Dopo 50 anni dalla maturità si sono ritrovati a cena per festeggiare con il “prof” di allora >>>

Superstrada E45: chiusura temporanea dello svincolo di Mercato Saraceno >>>

Domenica la giornata del Sentiero Italia con i volontari del Cai di Sansepolcro e Arezzo >>>

Superstrada E45: chiusura notturna nella galleria Montecoronaro >>>

Avis di Città di Castello e Consorzio Pro Centro insieme per promuovere la donazione del sangue >>>

Click Giostra Day sold out in poco più di un minuto >>>

Fortunato giocatore vince un milione di euro a San Giustino con il MillionDay >>>