Test d'ammissione all'università: errore strategico
L’altro giorno otto mila candidati per 250 posti a medicina alla Cattolica di Roma
Sono tempi di test e di valutazione per molti studenti delle nostre scuole. Sono tutti in procinto, infatti, di iscriversi a un’università e si ritrovano a dover sostenere un esame per poter entrare. Sì avete capito bene, nonostante un esame di stato che saranno chiamati a sostenere e cinque anni di scuola superiore, se qualcuno volesse iscriversi a medicina, odontoiatria o altre facoltà del genere si ritrova a sostenere un esame, anzi un test psicoattitudinale con domande di vario genere e di cultura generale, per essere accettati all’università. L’altro giorno otto mila candidati per 250 posti a medicina presso l’università cattolica si sono ritrovati alla Fiera di Roma per sostenere l’esame. Una domanda a minuto con scarse possibilità di leggere bene quanto richieda e di comprenderla adeguatamente e conseguentemente. Una vergogna fatta sistema a spese dei contribuenti e soprattutto di quanti se lo possono permettere, perché non è da tutti poter andare a Roma, pagarsi il viaggio e un albergo per sostenere un test che ha tutto fuorché l’attendibilità e assomiglia più che altro, alla scelta di un biglietto della lotteria.
In modo inopinato stiamo ledendo il diritto allo studio, ma ancor di più il futuro di giovani generazioni che si ritrovano precari anche per lo studio, che non hanno garanzie per il lavoro e non lo avranno per la pensione. Cosa pensiamo di fare? Cosa pensano di fare quanti si occupano di politica impegnandosi in movimenti e nei partiti? Per adesso non si sentono voci scandalizzate davanti a questa corsa all’oro di pionieri dell’oggi che si ritroveranno, molto probabilmente, con la magra consolazione di averci almeno provato. E quante professionalità avremo sacrificato sull’altare dei test di ammissione, quanti bravi professionisti avremo depennato senza nemmeno sapere se erano in grado di svolgere il lavoro che desideravano, per il solo fatto che i posti erano limitati?
Ce lo possiamo permettere? L’Italia ha un numero adeguato di laureati e una cultura generale che possa permetterle di rimandare a casa centinaia di giovani e relegarli magari a corsi universitari scelti per esclusione e non per preferenza, ad andare all’estero o a lavori saltuari? Vediamo qualche dato: se dal 2002 gli italiani con un titolo d’istruzione superiore sono raddoppiati, permane il fatto che siamo sotto di 12,9 punti percentuali rispetto alla media europea. In più sembra alquanto difficile raggiungere la quota di 4 laureati su dieci che ci eravamo posti per il prossimo biennio, senza considerare che sono ancora drammatici i dati riguardo l’abbandono scolastico, visto che siamo con un 14% di studenti, tra i 18 e i 24 anni, che non hanno raggiunto un diploma. I partiti sono impegnati a cercare un governo che governi e un’opposizione degna di questo nome. Quali sono in grado di dire la loro su questo tema, per niente teorico e aleatorio, ma concreto e che tocca la vita quotidiana di centinaia di famiglie e di future generazioni? Dove sono finite le battaglie di una volta riguardanti il diritto allo studio? Che idea di società stiamo costruendo?
Una società così precaria che si basa sul si salvi chi può rischia di far fuggire le migliori eccellenze, perché quelli che ce la fanno a superare un test del genere, non sono più bravi ma spesso solo più fortunati. Vogliamo veramente basare tutto sulla fortuna o vogliamo per una volta, costruire e investire sul futuro, non dei giovani, ma di ognuno di noi, perché quella che una volta chiamavamo, con un po’ di retorica, futura classe dirigente, è destinata a non essere più dirigente e a non avere più un futuro. Con conseguenze di certo pericolose per noi che siamo rimasti a guardare, in silenzio.
Leonardo Magnani
Leonardo Magnani è nato e vive a Sansepolcro. E’ laureato in filosofia e in scienze religiose. Insegnante di professione, da anni collabora con l’Associazione Cultura della Pace e si interessa di mediazione dei conflitti e di nonviolenza.
Le opinioni espresse in questo articolo sono esclusivamente dell’autore e non coinvolgono in nessun modo la testata per cui collabora.
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