Bullizzare i bulli: errore continuato
Siamo di fronte ad un’emergenza educativa, dobbiamo correre ai ripari
In questi giorni abbiamo assistito ad una serie di eventi che hanno dell’inquietante e che hanno riguardato il mondo della scuola e dell’educazione. Alunni prepotenti con i propri professori e con i propri compagni, genitori che se la prendono con i docenti, evidenziando comportamenti violenti ed inaccettabili. Siamo di fronte ad un’emergenza educativa, dobbiamo correre ai ripari, si è detto e ripetuto. Il come però è sfuggito ai più. C’è chi ha proposto bocciature e sospensioni, senza però andare a colpire e capire le cause di questi eventi.
Partiamo dalla considerazione che è in atto una diminuzione dell’autorevolezza del corpo docente: cosa è accaduto? Perché è diminuita e continua a diminuire la considerazione verso il ruolo dell’insegnante? Questo fattore patologico, che tanto danno può arrecare alla società, non può essere completamente addebitabile alla società. In questi anni c’è stato un innegabile aumento dello spazio di diagnosi da parte dell’insegnante a scapito dello spazio della “cura” che fa del docente un educatore. La proliferazione di test e di valutazioni ha creato la falsa illusione che tutto ciò bastasse ad essere insegnanti, mentre la funzione docente non sta qui, sta nella capacità di recupero e di “cura” del discente, troppo spesso riassunta dal consiglio di studiare di più. Ciò che rende medico, infatti, non sta solo nella capacità di diagnosi, ma nella capacità di curare il paziente e di comprenderne appieno i bisogni. Ora questa modalità ha illuso troppi, genitori compresi, di poter essere insegnanti per il solo fatto di comprendere il problema dello studente. Il docente è, invece, colui che è capace di trovare la cura per far emergere una risposta adeguata davanti al bisogno educativo emergente. Oggi la scuola, per come è organizzata, rischia di essere, come diceva Ivan Illich: “un’agenzia pubblicitaria che ti fa credere di aver bisogno della società così com’è”. Lo studente sembra escluso dal processo educativo e trasformativo della società, diventando soggetto passivo del processo, finendo per subire la scuola. Questa assume così una rigidità, che tende di conseguenza a diventare violenta. Già Johan Galtung, il più grande mediatore di conflitti vivente, vide in questa agenzia educativa gli elementi della violenza che si scaricano purtroppo sugli studenti stessi: abbiamo, è vero, una violenza diretta (quella del bullo), ma se si reagisce con la sanzione generica senza chiedersi il perché di un processo violento in atto, si finisce per utilizzare la stessa violenza, che sarà, questa volta, culturale, nei confronti del bullo unita ad una violenza strutturale organizzativa della scuola. Insomma, “bullizzare” il bullo finisce per evitare la domanda essenziale che servirebbe per interrompere il processo violento in atto: come è possibile che la violenza sia in atto? Perché il bullo è bullo? Farsi e fare questa domanda, porrebbe un granello di sabbia nel processo violento facendolo sobbalzare e bloccandolo. Si parla della violenza nella scuola, sarebbe allora opportuno parlare della violenza della scuola. Come diceva Brecht: “tutti parlano della violenza del fiume in piena, pochi della violenza degli argini che lo contengono”. C’è bisogno di un paradigma diverso che permetta di chiedersi i perché: è opportuno, ad esempio, scrivere i regolamenti d’istituto, insieme a studenti e famiglie e non crearseli da soli pensando esclusivamente ad aumentare le sanzioni in caso di violazione. Solo nelle dittature e nelle carceri, quanti sono chiamati a rispettare le regole, non discutono della formazione e del perché delle stesse. Nei prossimi dieci anni ci sarà una diminuzione di alunni di circa un milione di unità. Questo significherà una diminuzione di 55000 cattedre. Un forte risparmio per lo Stato. Come programmare questo futuro? Ci accontenteremo del risparmio, o creeremo classi con un numero adeguato di alunni, recuperando professionalità del corpo docente e aprendosi alla società e al dialogo? Qui sta la scelta che dobbiamo iniziare ad organizzare oggi. Altrimenti sarà difficile arginare la violenza e la diminuzione di autorevolezza che ci stiamo creando. La violenza infatti, è un processo che creiamo se ogni volta che vogliamo combatterla, aggiungiamo ad essa altrettanta violenza istituzionale. Aldo Capitini soleva dire: “E’ più pericoloso l’ordine che scende dall’alto, del disordine che sale dal basso”. Dobbiamo evitare che l’ordine, che vogliamo giustamente costruire, sia alieno rispetto ai bisogni e alle istanze che sorgono tra i giovani che siamo chiamati a educare e formare.
Leonardo Magnani
Leonardo Magnani è nato e vive a Sansepolcro. E’ laureato in filosofia e in scienze religiose. Insegnante di professione, da anni collabora con l’Associazione Cultura della Pace e si interessa di mediazione dei conflitti e di nonviolenza.
Le opinioni espresse in questo articolo sono esclusivamente dell’autore e non coinvolgono in nessun modo la testata per cui collabora.
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